La ricerca

Covid-19, Università Bicocca: “I disturbi neurologici durano poco”

L'ateneo, che ha a Monza il suo Dipartimento di Medicina e Chirurgia, ha coordinato uno studio sugli effetti del coronavirus: sono meno frequenti e spesso risolti in tempi brevi nelle ondate pandemiche successive alla prima.

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Monza. Non se parla quasi più. L’estate 2023, tra la sempre più elevata frequenza degli eventi estremi climatici e l’inflazione alta anche sotto l’ombrellone, è la prima, dopo 4 anni, in cui il Covid-19 non fa capolino sui media e nel dibattito pubblico. Ma gli studi sul coronavirus, non ancora scomparso e troppo in fretta già dimenticato, non si fermano. Come quello a cui ha partecipato l’Università degli studi di Milano-Bicocca che ha il suo Dipartimento di Medicina e Chirurgia a Monza.

Il Prof. Carlo Ferrarese, direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Milano-Bicocca presso la Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza, infatti, ha coordinato lo studio Neuro-Covid Italy sui disturbi neurologici associati all’infezione da Covid-19.

I risultati del progetto, che ha coinvolto 38 unità operative di Neurologia in Italia e nella Repubblica di San Marino, hanno fatto emergere che i disturbi neurologici, tra gli aspetti più allarmanti, controversi e meno compresi della recente pandemia, sono meno frequenti e nella maggioranza dei casi, risolti, spesso anche in tempi brevi, nelle ondate pandemiche successive alla prima.

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IL FOCUS

“Lo studio Neuro-Covid Italy, promosso dalla Società Italiana di Neurologia, è stato un grande lavoro di squadra, svolto con impegno e dedizione da 160 neurologi impegnati in prima linea durante il periodo più duro della pandemia” afferma Ferrarese.

“In oltre il 60 per cento dei pazienti c’è stato una risoluzione completa dei sintomi neurologici oppure la persistenza di sintomi lievi, che non impediscono le attività della vita quotidiana – continua – questa percentuale arriva a oltre il 70 per cento per i pazienti in età lavorativa, tra i 18 e i 64 anni”.

GLI APPROFONDIMENTI

Non sono così confortanti tutti i risultati dello studio Neuro-Covid Italy, durato per 70 settimane, da Marzo 2020 fino a Giugno 2021, con un successivo follow-up fino a Dicembre 2021, periodo in cui per almeno 6 mesi dopo la diagnosi sono stati seguiti 2000 pazienti affetti da disturbi neurologici dovuti all’infezione pandemica.

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“In circa il 30 per cento dei pazienti, i sintomi neurologici sono durati oltre i 6 mesi dall’infezione – spiega il direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Milano-Bicocca presso la Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza – questo è vero soprattutto per quanto riguarda i pazienti con ictus associato all’infezione da Covid”.

“Ma anche per i disturbi cognitivi, della concentrazione e della memoria – continua – la risoluzione dei sintomi è stata molto più lenta rispetto ad altre condizioni neurologiche, tanto da rientrare in quella che è stata chiamata sindrome long-Covid, seguita in molti centri neurologici coinvolti nello studio”.

GLI SVILUPPI

I disturbi neurologici associati all’infezione da Covid-19, dall’encefalopatia acuta fino all’ictus ischemico, dall’emorragia cerebrale ad alcune forme di epilessia e di infiammazione dei nervi periferici, non hanno svelato ancora tutti i loro aspetti.

“Passando dalla variante originale del virus, quella di Wuhan, fino a Delta il virus è diventato meno pericoloso per il sistema nervoso – afferma Simone Beretta, neurologo presso la Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza e primo autore dello studio – con la variante Omicron e l’uso dei vaccini, la situazione è andata ulteriormente migliorando e i disturbi neuro-Covid sono ora diventati molto rari”.

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“Se, quando e quanto l’infezione da Sars-Cov-2 potrà determinare un incremento del rischio di patologie neurologiche ad essa correlate a distanza di anni rimane ovviamente da essere studiato” sostiene Alberto Priori, direttore della Scuola di Specializzazione in Neurologia e della Clinica Neurologica dell’Università degli Studi di Milano presso il Polo Universitario San Paolo.

“I numeri potrebbero ipoteticamente essere importanti – continua – i sistemi sanitari europei oltre che le società scientifiche dovranno monitorare attentamente il quadro neuro-epidemiologico e dedicare sin da ora risorse specifiche a tale osservazione nel tempo”.

LE CORRELAZIONI

Non è la prima volta che il Covid-19 è al centro dell’attività di ricerca dell’Università degli studi di Milano-Bicocca. Che in questi ultimi anni ha fatto parte del gruppo di lavoro “COVID-19 Host Genomics Initiative”, che ha individuato alcuni dei fattori genetici più comuni fortemente associati al rischio di contrarre il coronavirus in forma grave.

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I primi risultati dello studio internazionale, che ha messo insieme i contributi proveniente da 25 paesi, hanno esaminato i dati di 50.000 pazienti positivi al virus e quelli dei controlli su 2 milioni di persone non infette.

L’ateneo, che ha nel Dipartimento di Medicina e Chirurgia di Monza una delle sue eccellenze, è stato protagonista anche della realizzazione di un innovativo dispositivo per la sanificazione dell’aria, una possibile risposta al Covid-19, ma più in generale alla sempre più frequente circolazione planetaria di virus e batteri in grado di fare il cosiddetto salto di specie verso l’uomo.

 

 

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