Salute

Genetica del Covid, a Monza l’Università Bicocca individua i fattori di rischio

In quest'intervista Pietro Invernizzi del Polo di Medicina e Chirurgia ci spiega i dettagli di un progetto di ricerca internazionale. Che apre scenari per cure sempre più specifiche contro il Covid ed altre malattie.

Infortuni da Covid

La strada che ci porterà a sconfiggere il Covid-19 non è fatta solo di vaccini, limitazioni e Green Pass. Tanto meno di polemiche, spesso pretestuose, su scenari futuri più o meno catastrofici. Superare la pandemia, aprendo magari strade utili al contrasto anche di altre malattie, infettive, autoimmuni ed oncologiche, passa per la ricerca genetica e la possibilità di arrivare a cure sempre più personalizzate in base a caratteristiche e condizioni del singolo paziente. Come sta facendo l’Università degli studi di Milano-Bicocca che ha il suo Dipartimento di Medicina e Chirurgia a Monza.

IL PROGETTO

L’ateneo, infatti, è, insieme all’Università degli studi di Milano e alla Humanitas University, tra coloro che fanno parte del gruppo di lavoro che ha costituito il “COVID-19 Host Genomics Initiative”. Il progetto, che ha individuato 13 loci, o posizioni nel genoma umano, fortemente associati al rischio di contrarre il Covid-19 in forma grave, ha esaminato i dati di 50.000 pazienti positivi al virus e quelli dei controlli su 2 milioni di persone non infette. E, raccogliendo i risultati di 61 studi provenienti da 25 paesi, ha realizzato uno dei più grandi progetti di associazione a livello genomico, pubblicato anche sulla rivista “Nature”.

Il contributo dell’Università Bicocca nasce dal progetto “STORM, STudio OsseRvazionale sulla storia naturale dei pazienti ospedalizzati per Sars-Cov-2” che, in sinergia con l’ASST di Monza, ha creato un super-archivio dei dati clinici, diagnostici, terapeutici e dei campioni biologici relativi ai pazienti COVID-19 ricoverati presso l’ospedale San Gerardo di Monza e l’ospedale di Desio.

In quest’intervista ad MBNews Pietro Invernizzi (nella foto in alto), professor dell’Università di Milano-Bicocca e Direttore dell’unità operativa di Gastroenterologia del San Gerardo di Monza, ci racconta qualche dettaglio dello studio internazionale sui fattori genetici che comportano il rischio di contrarre il COVID-19, oggetto di ricerca all’ateneo anche sul fronte della sanificazione dell’aria.

Ma ci spiega anche l’importanza degli sviluppi futuri della medicina di precisione, soprattutto nell’ottica dell’analisi genetica. Ed esprime il suo parere sull’inizio del prossimo anno accademico, anche al Polo di Medicina e Chirurgia a Monza e sui progetti di residenzialità che l’Università di Milano-Bicocca prevede di realizzare nel capoluogo della Brianza.

L’INTERVISTA

Prof. Invernizzi, il gruppo di lavoro “COVID-19 Host Genomics Initiative”, di cui fa parte anche l’Università di Milano-Bicocca, sulla base di un numero notevole di dati internazionali, ha individuato i fattori genetici che comportano il rischio di contrarre il COVID-19 in forma grave. Di cosa si tratta nello specifico?

In buona sostanza abbiamo indagato la suscettibilità delle associazioni genetiche con livelli diversi di severità clinica della malattia da Covid-19. Quindi il focus è stata la genetica del Covid e, in particolare, la reazione immunitaria che coinvolge alcuni tipi di geni.

In particolare sono stati identificati 13 loci, o posizioni nel genoma umano, che sono fortemente associati al rischio di infezione da SARS-CoV-2 o alla gravità della malattia. Di questi, uno dei due che hanno frequenze più elevate tra i pazienti di origine orientale o dell’Asia meridionale è vicino al gene FOXP4, collegato al cancro del polmone. La variante FOXP4 associata a COVID-19 grave aumenta l’espressione del gene e ciò induce a ritenere che l’inibizione del gene possa rappresentare una strategia terapeutica. Altri loci associati a Covid-19 grave includevano DPP9, un gene coinvolto anche nel cancro del polmone e nella fibrosi polmonare, e TYK2, che è implicato in alcune malattie autoimmuni.

Qual è stato il contributo dell’Università di Milano-Bicocca, in particolare del Polo di Medicina e Chirurgia a Monza?

Dallo scoppio della pandemia il San Gerardo e la Bicocca hanno visto tanti professionisti impegnati su questo fronte. Con la creazione di STORM si è deciso di collezionare e gestire, in maniera coordinata, materiali biologici e sieri. E’ stato effettuata, quindi, una genotipizzazione dei pazienti infettati dal Covid che, con il contributo di gruppi di studio tedeschi e norvegesi, ha permesso la pubblicazione di un primo lavoro sulla prestigiosa rivista scientifica “New England”.

Il mio ruolo di gastroenterologo ed epatologo è apparentemente lontano da queste tematiche. Ma, sulla base del mio coinvolgimento in attività cliniche, ho messo a disposizione la mia expertise di oltre 30 anni di carriera nella materia genetica e i miei collegamenti con Centri di ricerca in Italia e all’estero. Con il coinvolgimento di numerosi altri gruppi di studio di diversi Paesi si è arrivati alla produzione di dati e risultati che poi sono stati raccolti nello studio su fattori genetici associati al rischio di contrarre il Covid-19, che è stato pubblicato su Nature.

Quali saranno ora i prossimi passi su questo percorso che ha individuato chi è più esposto al Covid?

Il lavoro di ricerca sugli aspetti genetici dell’ospite e gli effetti che questi hanno sulla severità del Covid naturalmente continua. Ci potranno quindi essere ulteriori sviluppi che porteranno ad un approfondimento. Nel tempo ci aspettiamo di arrivare all’uso di antinfiammatori ed immuno-soppressori che ci permettano di mettere in campo terapie in grado di agire, in maniera specifica, proprio sulle molecole che, in situazioni anomale, possono sviluppare la malattia.

Lo scenario di cui ci sta parlando si inserisce nel più ampio ambito della medicina di precisione. L’Università di Milano-Bicocca cosa sta facendo su questo fronte?

Abbiamo numerose linee di ricerca attive e grandi competenze ormai acquisite. Per restare alla epa-gastroenterologia, di cui mi occupo, abbiamo in corso studi di genetica, omica, biomarcatori, radiologici e neurologici. L’obiettivo, attraverso l’uso di approcci algoritmici per un’analisi dei dati in modo informatico e legato all’intelligenza artificiale, è riuscire ad identificare le differenze tra pazienti che hanno la stessa malattia. L’identificazione di sottogruppi, come stiamo facendo ad esempio per pazienti con patologie alle vie biliari, permetterà di adottare terapie specifiche, valutarne i risultati e il livello di monitoraggio necessario.

Pur con qualche timore legato alla variante Delta del Covid-19, ci si avvicina al prossimo anno accademico. Lei come se lo augura ed immagina?

Veniamo da più di un anno in cui anche al Polo di Medicina e Chirurgia a Monza abbiamo adottato tutte le limitazioni e le restrizioni anti-pandemia. Non abbiamo mai interrotto l’attività didattica e di ricerca, ma siamo stati costretti a farla a distanza. Ora ovviamente la mia speranza è che, se tutto continuerà ad andare abbastanza bene come sembra negli ultimi mesi, si possa tornare ad una normalità fatta del vedersi in presenza.

Anche recentemente la rettrice dell’Università Milano-Bicocca, Giovanna Iannantuoni, è tornata a parlare di imminenti progetti di residenzialità per gli studenti che frequentano Medicina e Chirurgia a Monza. Lei cosa ne pensa?

So che ci sono programmi avanzati su questo fronte e che i lavori dovrebbero iniziare, in un’area già identificata, nei prossimi mesi, probabilmente prima della fine del 2021. Sicuramente l’esigenza di un’adeguata offerta di residenzialità a Monza e alla Bicocca più in generale è forte non solo per gli studenti, ma anche per i visiting professor che vengono da altri Paesi per attività di studio e ricerca.

Considerando anche che la nostra Università è tra quelle in Italia che più attira studenti da fuori, credo che se ci saranno ritardi sulla tabella di marcia dei lavori previsti, sarà necessario trovare soluzioni temporanee. Mi permetta, però, di dire anche che, come avviene da tempi negli Stati Uniti, dove sono stato a lungo, è necessario che la comunità locale tutta, dalle istituzioni ai cittadini, sentano un forte legame con l’Università del proprio territorio. C’è bisogno, insomma, di creare una community in grado di sostenere un ente che ha un raggio d’azione molto più ampio di medicina e chirurgia e coinvolge la salute e le professioni sanitarie.

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