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Ristoratori, in 50 sotto Regione Lombardia: “Noi come interruttori, vittime di apri e chiudi”

A raccogliere le loro voci è l'Agenzia Dire. Tra le testimonianze anche quelle dei ristoratori brianzoli. 

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Siamo stanchi e stremati“. Lo ripetono quasi come un mantra i ristoratori lombardi, circa una cinquantina, riunitisi questa mattina, martedì 9 marzo, per protesta sotto la Regione Lombardia. Si rivolgono al presidente Attilio Fontana, ma non solo, anche ai sindaci delle città e al nuovo premier Mario Draghi. A raccogliere le loro voci è l’Agenzia Dire. Tra le testimonianze anche quelle dei ristoratori brianzoli.

“Abbiamo passato mesi a leccarci le ferite”

Arrivano anche dalla Brianza e fanno sentire la loro voce: un anno di chiusure ha piegato la filiera della ristorazione, in Lombardia e non solo. Puntano il dito su autogrill e delivery, ma i temi sul piatto sono molti: tre su tutti tasse, licenze e abusivismo. Tra le voci degli intervistati c’è quella di Salvatore Bongiovanni, titolare dello Shaker Club Cafe’ di Seregno. “Ho perso il 65% del fatturato nel 2020, e di aiuti e’ arrivato poco e niente – dice – siamo trattati come interruttori, con un ‘apri e chiudi’ costante”. Una schizofrenia nelle decisioni “che fa male a livello economico ma anche psicologico”.

“La tassazione – proseguono i ristoratori – nonostante viviamo in un piccolo comune è comunque molto elevata, ma le problematiche maggiori le abbiamo nei costi che abbiamo per mantenere il locale, dalle attività agli affitti fino alle utenze e alle forniture che abbiamo richiesto per poter lavorare senza sapere che poi ci avrebbero chiuso di nuovo dalla sera alla mattina”. E c’e’ chi non riesce a capire come alcuni locali possano restare con la serranda abbassata, mentre altri no: “Gli autogrill ad esempio, perche’ sono aperti?”, si chiede un ristoratore di Monza.

Non ce la fa più nemmeno Emiliano Gallina, che gestisce nel paese di Ceriano Laghetto l’ ‘Alter Ego Bistrot‘: “Questa e’ una storia molto triste – confessa all’agenzia Dire – nell’ultimo anno ho lavorato solo cinque mesi, gli altri otto li ho passati a casa a leccarmi le ferite, obbligato a non lavorare”.

Gallina non è nuovo alle proteste: lo scorso 4 dicembre cercò di aprire il suo ristorante nonostante le limitazioni imposte dal DPCM. Le forze dell’ordine avevano, però, bloccato l’operazione.

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