Opinioni

L’Italia di Pessina batte l’Inghilterra non solo sul campo

Gli Azzurri hanno trionfato anche in finale, dopo una cavalcata inarrestabile, vincendo Euro 2020 contro l'aspettativa di molti, ma rendendo il tutto più storico sconfiggendo l'Inghilterra a casa loro.

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Se c’è una cosa che davvero si impara dallo sport, oltre ai principi classici come il fair play, dunque il portare rispetto per gli avversari, i compagni, eccetera, è che nulla è certo: non si può mai sapere come andrà a finire. Forse è fin troppo banale, da dire, perché di ribaltoni clamorosi la storia sportiva ne è piena zeppa, soprattutto man mano che l’asticella si alza.

Ecco perché, come recita il detto, “non bisogna mai parlare prima”. Da dizionario esiste un termine che, più di altri, rappresenta perfettamente, nel suo aspetto più implicito, tutta questa messinscena esprimibile altresì con: “non è mai detta l’ultima parola”, ovvero la ‘scaramanzia’: quella forma di superstizione, a cui non tutti credono, secondo cui certe frasi o certi gesti possano, in qualche modo, far sì che la fortuna giri a proprio favore, o che comunque si riesca ad allontanare, a scapito d’altri, la sfortuna.

Noi italiani ce ne intendiamo, eccome, di tutte quelle pratiche da mettere, o meno, in atto, a seconda dell’occasione. Da nord a sud, da est a ovest: questa disciplina è una delle nostre specialità. Perché quello che interessa davvero, fino in fondo, è vincere. E se lo si fa grazie alla scaramanzia allora è anche tutto più romantico e passionale, pure nella sofferenza più atroce.

Di sofferenza e di riti scaramantici, in questo folle europeo firmato Italia, ce ne sono stati. Alcuni più evidenti, come quello di Gianluca Vialli, che prima di ogni partita, alla partenza verso lo stadio faceva sempre finta di ritardare, portando in scena un siparietto che prevedeva la partenza del bus azzurro senza di lui, che poi si fermava e lo faceva salire. Altri più personali, che avvenivano dietro le quinte, al riparo dalle telecamere, come quello che citava Pessina nel suo ‘diario di bordo’ su Instagram, riguardante le grigliate e pizzate post partita, come quelle che “ognuno di voi fa”, scrive il classe ‘97.

Matteo Pessina non ha giocato la finale di ieri, ma ha vinto: ha vinto come tutti e 26 i componenti della rosa. Ha vinto anche la Brianza con lui, perché è da tempo immemore che un brianzolo non saliva sul tetto di una competizione calcistica così importante. Ed è proprio Pessina che lancia una frecciatina all’indirizzo di chi già pensava d’aver vinto, chi credeva che sarebbe andato tutto secondo i piani. Matteo lo fa con naturalezza, con semplicità: come chi sa di non dover spendere troppe parole nei confronti del nemico, dell’avversario, che ha già battuto con merito sul campo.

Scrive, sempre su Instagram, in una foto che lo vede alzare il trofeo (vedi copertina articolo): “It’s coming…”

Se c’è una cosa in cui l’Inghilterra ha perso, oltre che a quello del risultato e del gioco, riguarda proprio i riti scaramantici, in un certo senso, che per l’occasione i tifosi hanno beatamente lasciato perdere: tra euforia e certezza, tra festeggiamenti e presunzione, quel dettaglio trascurato del “non bisogna mai parlare prima” li ha fatti cadere, rovinosamente, in casa propria, in 60mila allo stadio Wembley.

“It’s coming home”“sta tornando a casa” in riferimento alla coppa – è stata la frase recitata per oltre un mese dagli inglesi, troppo sicuri di sé, che Pessina non ha voluto, anzi, dovuto sottolineare per intero. Quella frase traditrice che ha permesso ai nostri di darsi quella carica in più per batterli, e per portare il trofeo da noi, in Italia. “It’s coming (to) Rome”“sta arrivando a Roma” – è invece, la frase di sfottò usata da noi italiani, per parodiare quella loro infelice mancanza di scaramanzia.

Winston Churchill, ex Primo Ministro britannico, definendoli ‘popolo strano’, commentò, più di mezzo secolo fa, che gli italiani “perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio”.

Se c’è un’ultima cosa da dire, è che 53 anni dopo abbiamo vinto un Europeo, sconfiggendo l’Inghilterra che da ben 55 anni non vinceva un trofeo – un Mondiale, anche in quel caso giocatosi in Inghilterra – combattendo in ogni partita di calcio come se fossimo in guerra, e vincendo ‘la guerra’ e la coppa giocando a quel semplice gioco chiamato calcio, che gli inglesi stessi hanno creato e per mezzo del quale sono caduti uno dopo l’altro ai nostri piedi.

Che si creda o meno alla scaramanzia, e a tutto quel che ne concerne, passa in secondo piano. Perché dopo una serie di peripezie infinite, noi italiani in quel di Londra ci siamo laureati campioni rendendo quel cielo grigio e nuvoloso azzurro come non lo era mai stato prima.

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