Attualità

Bambini invisibili: l'”effetto” Covid sui più piccoli

Abbiamo raccolto uno spunto di riflessione di chi, con i bambini e le loro famiglie, ci lavora ogni giorno: un anno difficile per tutti ma durante il quale, i più piccoli, non sono stati considerati abbastanza. Si poteva fare di più?

bimbi silvia ferrari monza

Del fatto che, in Italia, stiano nascendo sempre meno bambini se ne parla da diverso tempo. Un argomento però che si è guadagnato più attenzione del solito durante i vari lockdown vissuti tra il 2020 e il 2021: ma questo calo delle nascite è davvero dovuto solo alla pandemia? Sicuramente la crisi sanitaria che abbiamo vissuto, e stiamo ancora vivendo, ha il suo peso sulla scelta di una coppia di allargare o meno la famiglia ma scavando un pochino più a fondo si possono trovare altre cause: “i bambini, soprattutto nella fascia 0-6 sono invisibili, non solo in tempi di pandemia”.

Questa è una riflessione che ha voluto condividere con noi Silvia Ferrari, mamma in primis, ma anche titolare di due asili nido e coordinatrice di una scuola dell’infanzia in Brianza.

Quando dice che i bambini sono invisibili, cosa intende?

Intendo proprio che non vengono presi in considerazione: durante tutto il primo lockdown, quello di marzo 2020, si è parlato di scuole, poi di maturità, ma nidi e asili sono stati chiusi senza prendere in considerazioni le conseguenze. Come a dimostrare che un bambino piccolo, proprio perché piccolo, non ha bisogno di attenzioni, servizi e, soprattutto, non si è pensato alle conseguenze.

Quali sarebbero queste conseguenze?

Be’ soprattutto conseguenze sul nucleo famigliare: un bambino piccolo, cioè nella fascia 0-6, ha bisogno di molte cure e attenzioni. Ma i genitori, anche se a casa con i propri figli, erano comunque impegnati con lo smartworking e il peso, non servirebbe nemmeno sottolinearlo, è ricaduto maggiormente sulle spalle delle madri che, ancora una volta, si sono sentite sole. Abbandonate. Non porre l’attenzione sui bisogni dei bambini così piccoli è stato come renderli invisibili. Ma una mamma e un papà, in smartworking, dove potevano trovare il tempo di svolgere il loro ruolo di bravo genitore in maniera adeguata? Stress, frustrazione, angoscia per il futuro: tutti sentimenti che, in un nucleo famigliare, soprattutto dove ci sono dei bambini, anche piccoli che assorbono molto, hanno un peso enorme. E questo non è stato preso in considerazione.

Ma qualche aiuto a sostegno delle famiglie è stato dato. Il bonus baby sitter, per esempio.

Anche qui, le famiglie e i bambini non sono stati presi in considerazione nei loro bisogni: un bambino piccolissimo non è così facile da lasciare nelle mani di una persona nuova, seppur una professionista. Ci vuole del tempo di adattamento, proprio come si fa all’asilo, con l’inserimento. E non dimentichiamo il fatto che, un anno fa, la paura dei contagi era molto alto e dover chiamare una baby sitter, magari a giorni alterni, per la cura dei propri figli non dava sicurezza a tante mamme e che quindi hanno rinunciato. Non è un caso che tante donne abbiamo perso o volontariamente lasciato il proprio posto di lavoro.

Insomma, si poteva fare di più. Ma tutto questo, come si lega al calo della natalità? Lei ha parlato di solitudine delle mamme.…

Be’ non dico nulla di nuovo affermando che l’Italia non è un Paese per mamme e quando parlo di solitudine intendo proprio questo: una donna che sceglie di avere un figlio si trova da sola, non ci sono servizi pubblici che possono essere d’aiuto e lo dico andando anche un po’ contro il mio lavoro, essendo io titolare di due nidi privati: quello che credo è che una madre dovrebbe avere tutto l’aiuto possibile perché sappiamo quando sia difficile crescere ed educare un bambino. Più spazi di incontri tra mamme, per esempio, luoghi pubblici e gratuiti. Un maggior sostengo, anche per quanto riguarda la questione del lavoro: una mamma, ancora oggi, deve davvero scegliere tra figli e lavoro? Abbiamo vissuto una tendenza negli ultimi anni che esemplifica molto questo aspetto: si fanno sempre meno figli e sempre più nella fascia d’età tra i 35 e i 40 anni, perché si punta l’attenzione più alla carriera che alla famiglia. Anche se devo ammettere di aver notato un cambiamento: oggi, forse anche grazie allo sdoganamento di una maternità diversa, più “cool”, attraverso il web e i social network, sembra che ci sia un cambiamento in senso positivo e ci sono molte giovani donne che diventano madri, anche sotto i 30 anni.

Manca quindi un adeguato Welfare per le famiglie, secondo lei?

Io mi auguro solo che tutto questo periodo dettato dalla pandemia abbia lasciato anche un segno positivo. I disagi provocati dal Covid, con le varie chiusure, ha solo messo in evidenza un problema che già esisteva ma che si cercava di non vedere: la difficoltà nel gestire lavoro e figli. Io me ne rendo conto ogni giorno guardando negli occhi le mamme: sono stanche, e in continua apprensione. Hanno paura che da un momento all’altro, l’asilo o la scuola possa di nuovo chiudere e quindi hanno il costante timore di doversi ogni volta riorganizzare facendo i salti mortali; si allarmano per ogni piccolo sintomo influenzale. Questi ultimi 5 mesi non sono stati facili per niente e io credo  che si sarebbe potuto fare molto di più e invece, come dicevo, ho avuto la percezione che i più piccoli siano stati pressoché invisibili, che nessuno abbia pensato di guardare un pochino oltre: chiudendo un asilo e lasciando a casa un bambino, seppur per il bene della sua salute, scatena un sacco di conseguenze sulla famiglia e non è stato fatto abbastanza per i genitori.

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