Brianza per il Cuore: evitare il secondo infarto cardiaco è possibile, ecco come

Sapevate che il 25% delle persone colpite da infarto rischiano di averne un altro entro cinque anni? Abbiamo intervistato il dottor Luciano Licciardello, membro del comitato scientifico di Brianza per il Cuore Onlus.

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Sapevate che il 25% delle persone colpite da infarto rischiano di averne un altro entro cinque anni? Abbiamo intervistato il dottor Luciano Licciardello (in foto sotto ndr), membro del comitato scientifico di Brianza per il Cuore Onlus, che ci ha illustrato una nuova sperimentazione clinica sul ruolo dell’infiammazione nell’infarto cardiaco. Uno studio particolarmente importante che apre la strada ad una serie di considerazioni e sviluppi futuri.

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Da cosa è causato il secondo infarto nell’arco di 5 anni dal primo evento, dott. Licciardello? “Le cause possono essere molteplici. Il cuore risente del danno provocato dal primo infarto, diventa suscettibile e fatica a recuperare. Ecco perché – talvolta – non è sufficiente un cambiamento dello stile di vita per evitare il ripetersi dell’episodio. Serve una riposta concreta che prenda atto della condizione del cuore dopo il danno. Tra i fattori principali – poi – c’è sicuramente l’infiammazione.”

 

Cos’è l’infiammazione? “L’infiammazione è un processo reattivo verso agenti patogeni di qualsiasi natura contro i quali il corpo umano si difende, attivando il sistema immunitario. L’obiettivo finale del processo infiammatorio è attivare le difese dell’organismo per eliminare ogni potenziale elemento nocivo (corpi estranei, microorganismi, tossine, parassiti ecc.). L’infiammazione distrugge, diluisce ed isola l’agente nocivo ed allo stesso tempo innesca una serie di eventi che riparano e ricostituiscono il tessuto danneggiato. L’intero processo infiammatorio è regolato da una serie di sostanze, chiamate citochine, presenti nel sangue e deputate a coordinare la funzionalità delle cellule coinvolte nell’infiammazione.”

 

Qual è il ruolo dell’infiammazione nell’infarto cardiaco? “Oggi sappiamo che l’infiammazione cronica è un importantissimo fattore di rischio per lo sviluppo di moltissime patologie, comprese le cosiddette “big killer”, come le  malattie cardiovascolari, l’ictus cerebrale, il diabete e il cancro. La presenza di una sola di queste malattie, a sua volta, sostiene e incrementa la condizione di infiammazione e contribuisce allo sviluppo di ulteriori patologie.

Nel 2015 si stima che si siano verificati oltre 7 milioni di eventi cardiaci nel mondo. Nonostante il trattamento standard, le persone con un precedente episodio di attacco cardiaco convivono con un rischio più elevato di subire un altro evento o di morire a seguito del primo. È stato dimostrato che, in circa 4 persone su 10, questo rischio è direttamente correlato a un aumento dell’infiammazione associata ad aterosclerosi. Infatti, si è constatato che, nonostante i trattamenti attuali, il 25% circa dei pazienti che hanno subito un attacco cardiaco andrà incontro ad un nuovo evento cardiovascolare entro i successivi cinque anni. ”

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Esiste un modo per evitare il ripetersi dell’episodio? “È molto interessante – a questo proposito – il nuovo studio sullo ‘spegnimento dell’infiammazione’. L’idea principale nasce dal fatto che c’è una componente legata all’infiammazione nell’infarto. ‘Spegnere l’infiammazione’ significa spegnere una delle condizioni che predispongono il reinfarto (il secondo infarto ndr); la sperimentazione mette in luce questa possibilità.

Nell’ambito del recente congresso della Società Europea di Cardiologia, tenutosi a Barcellona nello scorso mese di agosto, sono stati presentati i risultati di una sperimentazione clinica internazionale condotta con un farmaco prodotto con tecniche di biotecnologia il canakinumab. Questo farmaco, attualmente utilizzato nel trattamento dell’artrite reumatoide, è in grado neutralizzare selettivamente uno dei principali attori dell’infiammazione: l’interleuchina1 I risultati integrali dello studio sono stati successivamente pubblicati da due delle più prestigiose riviste mediche internazionali: The New England Journal of Medicine* e The Lancet**

La sperimentazione, denominata CANTOS, ha arruolato 10.061 pazienti con pregresso attacco cardiaco associato a aterosclerosi con componente infiammatoria ed un elevato livello di proteina C-reattiva ad alta sensibilità. I pazienti sono stati suddivisi in quattro gruppi omogenei, ad ognuno è stata somministrata in modo casuale, ogni tre mesi per iniezione sottocutanea, in aggiunta alla terapia standard, una delle tre dosi di farmaco (50 mg, 150 mg o 300 mg) o il placebo. Complessivamente i controlli sono durati circa sei anni. I principali parametri verificati sono stati:

  • il tempo alla prima insorgenza di un evento cardiovascolare maggiore nella forma di morte cardiovascolare, infarto miocardico non mortale, ictus cerebrale non mortale,
  • ospedalizzazione per angina instabile, con necessità di trattamento chirurgico,
  • mortalità per tutte le cause,
  • tempo al decesso per tutte le cause

La durata mediana dei controlli sul singolo paziente è stato 3,8 anni”

 

Quali sono i risultati di questo studio? “I risultati finali hanno evidenziato una riduzione, statisticamente significativa, del 15% del rischio di subire eventi cardiovascolare maggiori nei gruppi trattati con 150 mg o 300mg rispetto ai pazienti trattati con placebo (p=0.021) raggiungendo così l’obiettivo primario dello studio*.

Per quanto concerne gli obiettivi secondari, si sono ottenuti altri due importanti risultati: la riduzione, statisticamente significativa, nei pazienti trattati con la dose di 300mg, rispetto ai pazienti trattati con placebo, della mortalità per cancro polmonare (p=0.0002) e la mortalità nelle infezioni generalizzate gravi (setticemie)**.”

 

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*PM Ridker et al (2017) “Antinflammatory Therapy with Canakinumab for Atherosclerotic Disease. N Engl J Med 377(12):119-31.
**PM Ridker et al (2017) ”Effect of interleukin-1β inhibition with canakinumab on incident lung cancer in patients with atherosclerosis: exploratory results from a randomised, double-blind,
     placebo- controlled trial” The Lancet DOI: http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(17)32247-X

 

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