Telefono… povero e solidale

Pakistani, cingalesi, marocchini, ma anche giovani e studenti italiani: tanti phone center che ricongiungono famiglie e affetti.


Pakistani, cingalesi, marocchini, ma anche giovani e studenti italiani: tanti phone center che ricongiungono famiglie e affetti. PHONE CENTER 

Il giorno dell’epifania sta per finire, è buio in centro e per le strade non c’è molta gente nonostante sia sabato pomeriggio. In via Pavoni al civico 5, invece, c’è un gran via vai. L’atrio del “FoneNet” sembra una sala d’attesa, nonostante questo phone center abbia ben 16 postazioni. Oltre alle persone che stanno già telefonando a casa, ce n’è almeno un'altra decina che attende in silenzio il proprio turno. Africani, asiatici, sudamericani, est-europei. Un vero melting pot di razze e colori che condivide lo stesso bisogno: parlare con i loro cari.

 IL PHONE CENTER

Le cabine, ampie solo un metro quadrato, non riescono a contenere le parole che inondano l’atrio, in un miscuglio variopinto di voci. Dietro il bancone ci sono i Mohammad, una famiglia di pakistani in Italia dal ‘99. Papà Anees ha rilevato l’attività un paio d’anni fa da un italiano che si occupava di spedizioni ed imballaggi. In negozio, per la maggior parte del tempo, ci sono i due figli, Fahel Alì, 19 anni, e Bilal, poco più giovane. Da loro si può chiamare in tutto il mondo, navigare in Internet, comprare le più varie schede telefoniche, inviare denaro, fare fax e fotocopie.

“FoneNet” è aperto dalle 10 alle 23 e i giorni di maggiore affollamento sono il sabato e la domenica, dopo la chiusura settimanale del venerdì. Per un minuto di chiamata verso un telefono fisso italiano ci vogliono 10 centesimi, 25 per un cellulare. Non si sa per quale prodigio della tecnica, le tariffe verso l’Italia sono le più alte. Chiamare un fisso in Perù, a Lima, costa 5 centesimi al minuto. Per gli Usa, la tariffa è fissa, 6 centesimi. Verso il Senegal, un telefono fisso costa 16 centesimi al minuto, 18 un cellulare. In testa alla classifica di gradimento ci sono Perù, Bangladesh ed Ecuador.

“A Monza ci sono circa 40 phone center, gestiti per la maggior parte da pakistani e cingalesi. Il nostro è il più grande. Inoltre, abbiamo anche un altro negozio in via XX Settembre e riforniamo di schede telefoniche una decina di altri punti vendita in città – dicono i fratelli Mohammad – Però non guadagniamo molto e per questo, tra qualche tempo, ci piacerebbe cambiare lavoro. Per un ricavo misero di 2 centesimi al minuto di chiamata abbiamo anche alcuni problemi abbastanza fastidiosi, come la gente che non paga e i balordi che vengono a fare casino. E poi è arrivata anche questa legge regionale che certo non agevola la nostra attività”.

 LA LEGGE REGIONALE

La legge regionale in questione è la numero 6 del 3 marzo 2006. La norma è la prima che regola l’attività dei phone center, dopo anni in cui il settore si è sviluppato senza nessun regolamento che ne guidasse lo sviluppo. Prima, infatti, per aprire un’attività di questo genere, non erano necessarie particolari autorizzazioni, ma bastava una comunicazione al Ministero delle Telecomunicazioni, sulla quale vigeva la regola del silenzio assenso. Da ora in poi, però, saranno i Comuni a distribuire le licenze attraverso un regolamento che dovranno elaborare per recepire le norme regionali.

I phone center hanno tempo fino al 22 marzo prossimo per mettersi in regola e registrarsi presso gli uffici comunali. “E’ un problema grave, molti negozi chiuderanno – dicono i fratelli Mohammad – Già con la legge nazionale anti-terrorismo (Decreto Legge numero 144 del 27 luglio 2005, ndr) siamo costretti a chiedere i documenti a tutti quelli che usufruiscono dei nostri servizi, soprattutto quelli telematici: molti clienti non ci stanno e se ne vanno da qualche altra parte. Ora arriva anche questa… Non riusciremo mai a soddisfare tutti gli obblighi contenuti nella nuova legge”. Molte imposizioni sono identiche a quelle degli altri esercizi commerciali, ma altre, infatti, risultano molto “stringenti”.

I phone center dovranno essere in regola con tutte le vigenti norme in materia edilizia, urbanistica, igenico-sanitaria e di prevenzione degli incendi. L’attività dei negozi dovrà rispettare un giorno di chiusura a settimana. I limiti orari dovranno essere stabiliti dal Comune competente e non potranno superare le 13 ore giornaliere. Le Amministrazioni individueranno poi gli ambiti territoriali idonei alla loro localizzazione, “con particolare riferimento alla disponibilità di aree per parcheggi, nonché alla compatibilità con le altre funzioni urbanistiche e con la viabilità di accesso”.

Pesanti, per i gestori dei phone center, sono soprattutto i requisiti e le prescrizioni igenico-sanitarie, articolo 8. Un servizio igienico ad esclusivo uso del personale ed uno per il pubblico, se il locale non supera i 60 metri quadrati, altrimenti due. Spazio di attesa all’interno del negozio di almeno 9 metri quadrati fino a 4 postazioni, a cui ne andranno aggiunti altri 2 per ogni telefono aggiuntivo. Postazioni di almeno un metro quadrato. Sistemi di ventilazione ed illuminazione, sia naturali che artificiali, conformi alle norme dell’Uni, l’Ente Nazionale Italiano di Unificazione. Praticamente uno show room.

Nella legge regionale, poi, sono anche specificati i compiti e le funzioni dei Vigili Urbani. Se mai ce ne fosse bisogno, l’articolo 11 spiega che “la Polizia Locale svolge attività di vigilanza e controllo, nonché di prevenzione e di contrasto delle situazioni e dei comportamenti posti in violazione delle disposizioni” della legge, controllando gli orari di apertura, le autorizzazioni e le licenze. Viene quasi da chiedersi: di solito che fanno?

 IL COMUNE DI MONZA

Il Comune di Monza non ha ancora recepito la legge regionale e, fin’ora, ha ricevuto una sola richiesta per regolarizzare la posizione dei numerosi phone center della città. Altre 6 procedure sono state avviate per cambiare la titolarità di altrettanti negozi del genere. Della questione si occupa il settore Sviluppo economico, la cui responsabile è la dottoressa Rosaria Volpe.“Qualcun’altro si è venuto ad informare – dice – Noi, però, non abbiamo nemmeno un numero preciso di quanti esercizi siano presenti a Monza, perché per ora non avevamo voce in capitolo. Ai tempi della legge anti-terrorismo, la Questura ci parlava di una ventina di phone center a Monza”. La metà esatta di quelli stimati dai fratelli Mohammad che gestiscono FoneNet.

Con la nuova legge regionale bisognerà anche separare le varie attività che solitamente venivano svolte assieme all’interno dei phone center, come telefonia internazionale, navigazione virtuale, vendita di schede telefoniche, invio di denaro… Per ognuna di esse sarà necessario ottenere una licenza distinta. “Prima, invece, oltre alla comunicazione alla Questura, c’era solo e una postilla della legge regionale 30 del 24 dicembre 2003 sulla disciplina su bar e ristoranti che, però, non conteneva sanzione precisa ed è quindi rimasta lettera morta” spiega Rosaria Volpe.

“Il problema fondamentale è conciliare la regolarità di queste attività, come tutte le altre, e l’esigenza dei phone center di lavorare 24 ore su 24 per via del fuso orario che costringe molti utenti a chiamare ad orari strani – conclude – Proprio la questione degli orari di apertura crea dei disagi ai cittadini che abitano nelle vicinanze di questi negozi che si denunciano rumori e schiamazzi notturni. Vengono a lamentarsi sia direttamente nei nostri uffici, sia attraverso le Circoscrizioni”.

 LE LAMENTELE DEI MONZESI

Un caso di lamentele riguardo ai phone center monzesi aveva coinvolto la Circoscrizione 3 nel 2004. Un consigliere della Lega Nord, Sergio Longhetti, aveva presentato una mozione nella quale venivano riferiti i disagi di alcuni residenti che si trovavano nei pressi dei due negozi di telefonia della zona, uno in via San Rocco, l’altro in via D’Annunzio, nella nuova piazza della Circoscrizione. Pietro Zonca, storico presidente Ds della “3”, si era personalmente occupato della vicenda.

“Era estate e, in quel periodo, organizzavamo il cinema all’aperto – ricorda Zonca – Così, dopo la fine del film, facevo sempre un giro per i posti che erano stati segnalati. Ho continuato a fare quel giro per un mese e mezzo, ovviamente anche nei giorni in cui non c’erano gli spettacoli, ogni giorno, verso mezzanotte. Non ho mai visto niente che potesse arrecare disturbo ai cittadini della mia Circoscrizione, anzi, molto spesso i phone center erano già chiusi, senza nessuno che sostasse nelle vicinanze”.

Il presidente della Circoscrizione 3 ha così potuto rispondere alla mozione in modo perentorio. “Ho presentato dati certi, smontando la tesi del consigliere della Lega – dice Zonca – Anche ultimamente, però, in Consiglio comunale, i phone center di San Rocco sono stati indicati dal capogruppo leghista Massimiliano Romeo come uno dei problemi maggiori di Monza. Io posso solo assicurare che non hanno mai creato alcun disagio, così come tutti gli altri esercizi commerciali gestiti da stranieri. Ho paura che questi allarmi siano solo frutto di pregiudizi”.

 IL CASO DI BRESCIA

Se a Monza la legge regionale 6 del 2006 fa discutere, a Brescia ha scatenato proteste molto forti. Sarà perché, nella città guidata dal sindaco Paolo Corsini, l’immigrazione è storicamente un fenomeno molto più evidente che in Brianza, visto che il numero di stranieri residenti si attesta al 12% della popolazione, il doppio rispetto a Monza. A Brescia, infatti, ci sono ben 113 phone center, 80 dei quali in pieno centro storico.

L’Amministrazione comunale bresciana ha già adottato un regolamento che recepisce la legge regionale ma, nel dicembre scorso, gli operatori dei phone center hanno indetto un presidio davanti al Comune per protestare contro queste norme, ritenute troppo dure e penalizzanti. Alcuni hanno addirittura minacciato lo sciopero della fame. Solo l’intervento del Sindaco, che ha posticipato l’entrata in vigore della norma al termine previsto dalla stessa legge regionale (il 22 marzo prossimo), ha permesso di contenere momentaneamente la protesta.

Arturo Squassina è un consigliere regionale dei Ds di Brescia che si è occupato a lungo della questione al Pirellone. “Non è possibile che questi esercizi adempiano a tutti questi obblighi, sia per la tempistica ristretta sia per l’ammontare ingente degli investimenti necessari – commenta Squassina – A livello regionale, personalmente, ho cercato di alleggerire il peso della norma, durante il suo l’iter di approvazione, e ora mi batterò perché la sua entrata in vigore venga posticipata di almeno un anno. Ci vuole buon senso. Non si può passare dall’assenza di regole a questa situazione. E poi mi chiedo perché anche gli altri esercizi commerciali non abbiano lo stesso trattamento: non mi risulta che tutti i bar del centro di Brescia abbiano tutti questi vincoli. Perché solo i phone center?”

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