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Alluvione a Meda: ecco perché il Tarò ha travolto la città (e resta un pericolo)

14 ottobre 2025 | 12:59
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Alluvione a Meda: ecco perché il Tarò ha travolto la città (e resta un pericolo)
La stazione, il 22 settembre 2025

Un’approfondita intervista con Gianni Del Pero, geologo medese ed ex presidente di Wwf Insubria

Meda. Cinque milioni di metri cubi d’acqua in poche ore. È questo il volume stimato che il 22 settembre ha invaso le strade, le case e le cantine di Meda, travolgendo tutto ciò che incontrava. Il torrente Tarò-Certesa, con i suoi affluenti Roggia Vecchia e valli della Brughiera, è uscito dagli argini in più punti, allagando un’area vasta da via Como e via Luigi Rho al Centro Città, scorrendo lungo via Trento, le Ferrovie Nord e Via Solferino per raggiungere Piazza Municipio e proseguire in Viale Francia, Via Cadorna e ancora oltre.

Nei giorni scorsi gli escavatori di Aipo sono tornati al lavoro per ricostruire gli argini crollati a causa della piena del 22 settembre. Ma basterà a evitare una nuova alluvione? La risposta, secondo Gianni Del Pero, geologo medese ed ex presidente del WWF Lombardia, è chiara: no.

“Stiamo riparando i danni, non affrontando le cause. Il Tarò oggi è un sistema fragile, trascurato e senza un piano di manutenzione continua”, spiega Del Pero.

Meda allagata

Una sola vasca per tutto il bacino

Il Tarò e i suoi affluenti scorrono attraverso più Comuni della Brianza: Montorfano, Alzate, Brenna, Carugo, Cantù, Mariano, Cabiate, Meda per confluire nel Seveso a confine con Cesano Maderno. In tutto il bacino idrografico esiste una sola vasca di laminazione, costruita a Carugo alla fine degli anni ’80, capace di trattenere circa 80mila metri cubi d’acqua.

“Dovevano seguire altri interventi in tutti i Comuni del bacino”, racconta Del Pero, “ma i progetti non sono mai partiti”.

Dopo la doppia alluvione del 2014, lo Stato e la Regione Lombardia riconobbero un contributo straordinario di 700mila euro per interventi idraulici su tutto il bacino, che avrebbero dovuto coinvolgere tutti i Comuni. “Tra il 2015 e il 2016 – continua Del Pero – i Comuni affidarono gli incarichi per spendere quei fondi, ma la cosa finì poi nel dimenticatoio”. E tutto rimase fermo.

Solo il comune di Mariano Comense ha spinto affinchè venisse predisposto uno studio con la finalità di mettere in sicurezza gli abitati di Mariano e Carugo, arrivando a progettare tre grandi vasche di laminazione: una da 200mila metri cubi ad Alzate Brianza e due a Cascina Bice di Mariano per complessivi 75mila metri cubi. Il progetto è rimasto nei cassetti fino al 2023, quando è stato ripresentato all’interno del Contratto di Fiume Seveso e inserito nel programma di azione regionale che nel frattempo era stato finanziato da Stato e Regione per oltre 15 milioni di euro, somme disponibili che possono essere spese subito. Tuttavia la fase esecutiva degli interventi è stata più volte rinviata e al momento i lavori sono previsti non prima del 2027.

Nel frattempo, solo Cabiate ha anticipato fondi propri per realizzare una piccola area di laminazione da 3000 metri cubi mentre Meda ha presentato una proposta per un invaso da 10mila metri cubi da realizzare nella Val di Mez, all’altezza di via Como e via Varese, in attesa di finanziamento.

Gianni Del Pero però sottolinea: “Anche se tutte le vasche di laminazione previste a Alzate e Mariano fossero state già realizzate non sarebbero riuscite a contenere la piena del 22 settembre. Quel giorno sono scesi volumi d’acqua oltre dieci volte superiori”.

Meda allagata

Cosa serve (e cosa non si è fatto)

“Il Tarò è lo specchio di come abbiamo trattato il territorio”, commenta il geologo medese senza troppi giri di parole. “Basta cementificazioni o colate di asfalto. Ancora meglio, andarlo a togliere dove possibile o non serve più. Il terreno deve tornare ad avere la capacità di assorbire e drenare”.
Un problema che riguarda tutta la Brianza: l’impermeabilizzazione del suolo.

A Meda, quello che serve si sa già: manutenzione e rifacimento dei ponti con sezioni inadeguate, rialzo e consolidamento degli argini e riduzione del trasporto solido che arriva dall’altopiano. “Al cimitero di Meda, per esempio, è stato fatto un buon intervento in collaborazione con BrianzAcque, utilizzando pavimentazione drenante. Un altro progetto utile, in fase di realizzazione, è quello di gestire le acque di fognatura che non finiscono più nel torrente Tarò ma vengono convogliate in un terreno a fianco alle scuole Diaz”.

Tra i punti più fragili del sistema idraulico del Tarò c’è il tratto compreso tra il ponte di via Valseriana e il ponte di via Luigi Rho, dove la quota dell’argine sinistro è più bassa rispetto al livello raggiunto dall’acqua durante le piene. È qui che, secondo Del Pero, si concentra una delle priorità assolute di messa in sicurezza: “I due ponti che precedono l’attraversamento di via Luigi Rho funzionano di fatto come una diga: la luce utile sotto le campate è troppo ridotta e l’acqua, in occasione di forti precipitazioni, viene rallentata fino a tracimare, invadendo le strade”.

Durante la piena del 22 settembre, il Tarò è esondato prima in via Valseriana, poi in vicolo Luigi Rho e via dei Via dei Mille, poi defluendo da Via Como ha raggiunto piazza Cavour per proseguire da Via Solferino verso piazza del Municipio. Per Del Pero, la strategia non può limitarsi a interventi emergenziali: serve aumentare la sezione di deflusso sotto i ponti, rialzare gli argini di almeno 50 centimetri e, parallelamente, ripristinare la capacità del suolo di assorbire le piogge.

Aipo, l’intervento per ricostruire gli argini

Stando a quanto dichiarato dal sindaco Luca Santambrogio il 13 ottobre, Aipo, l’ente pubblico che gestisce per conto di Regione Lombardia l’intero reticolo idrografico del bacino del Po ha iniziato i lavori per ricostruire gli argini del Tarò nei punti in cui sono. Una buona notizia, ma solo per metà, secondo Del Pero.

“Aipo ricostruirà gli argini così com’erano – spiega – ma per evitare altre esondazioni servirebbe innalzarli di almeno 50 centimetri, specie in sponda sinistra da Via Valseriana e Via Luigi Rho e ampliare la sezione sotto i ponti per favorire il deflusso dell’acqua. Credo che comunque ora la priorità per l’Ente sia quella di rimuovere le tre ‘dighe’ che si sono formate lungo il corso del Tarò a seguito dei crolli: in via Como, poco prima del ponte di via Luigi Rho, in Largo Europa-Via Mazzini e in via dei Cipressi. Questi crolli hanno innalzato il fondo del torrente: significa che anche una pioggia non eccezionale può farlo uscire di nuovo come è successo domenica 28 settembre”.