Monza, Alberto Pellai chiude Sguardi Oltre: “No alla cultura dello scarto, passiamo dall’io al noi”

Alla rassegna organizzata da Brianza Energia Ambiente S.p.A. in collaborazione con Servizi Comunali S.p.A. il noto psicoterapeuta dell’età evolutiva e scrittore ha parlato di adolescenti e felicità.
Monza. Sulla felicità si continuano a scrivere decine di libri. Anche dopo averli letti con attenzione, però, non c’è una risposta certa ed univoca alla domanda su cosa sia. Forse perché, in realtà, non esiste una soluzione valida per tutti e ognuno ha la propria forma di felicità da raggiungere nel contesto personale e sociale in cui ci si trova a vivere.
Concetti che Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva, ricercatore e scrittore, ha provato a spiegare, partendo dalla cultura dello scarto, nel terzo ed ultimo appuntamento di “Rifiutati e rifiutanti”, il tema guida di Sguardi oltre, la rassegna organizzata da Brianza Energia Ambiente S.p.A. in collaborazione con Servizi Comunali S.p.A. di Sarnico (BG) ed il Liceo Classico e Musicale Bartolomeo Zucchi di Monza.

I DETTAGLI
“Oggi la felicità ha molto a che fare con la cultura dell’abbondanza e del troppo ed assume soprattutto una forma legata alla dopamina, cioè ad una gratificazione immediata a costo zero in cui il cervello è iper-stimolato ed attivato” spiega Pellai, autore di molti libri di successo, soprattutto sui bambini e sugli adolescenti, nel corso della serata in cui ha dialogato con Enrico de Tavonatti, scrittore, divulgatore e manager di Servizi Comunali SpA, dopo l’introduzione di Rosalia Caterina Natalizi Baldi, dirigente scolastica del Liceo Zucchi di Monza.
“La condizione dopaminica dovrebbe essere rara perché, nel percorso evolutivo dell’uomo, si è formata per permettere al nostro cervello di apprezzare i pochi piaceri della vita in una situazione generale di restrizione – continua – se, invece, la dopamina diviene una costante, il nostro cervello rischia di involvere, andare al collasso e in “brain rot”, letteralmente marciume cerebrale“.
L’OBIETTIVO
La felicità da perseguire, invece, è quella di un benessere giusto dove attraverso il passaggio dall’io al noi sociale si riesce a vivere in una dinamica di squadra e non di branco. Quest’ultima, infatti, è la condizione tipica della cultura dello scarto, di cui ha più volte parlato anche Papa Francesco, che caratterizza sempre di più la nostra società, in cui vige un sistema molto competitivo e bisogna rispondere continuamente ad aspettative molto alte senza potersi permettere cadute o fallimenti.

“Dobbiamo puntare alla felicità vera, prodotta dall’ossitocina, quella che si genera quando una mamma o un papà vedono ricambiato lo sguardo dai propri figli o nelle relazioni amorose quando abbattiamo le barriere e lasciamo spazio al noi” afferma lo psicoterapeuta, nel 2004 insignito anche dalla Medaglia d’argento al merito in Sanità Pubblica dal Ministro della Salute Girolamo Sirchia.
“Esiste anche un’altra via positiva alla felicità, che possiamo provare tutti – aggiunge – è quella legata alla serotonina, che è generata dal contatto con la natura e la bellezza, cioè dalla capacità di dare significato a quello che abbiamo”.
I GIOVANI
Se la direzione attuale del mondo è sempre più indirizzata alla cultura dello scarto, che rende difficile il raggiungimento della felicità e conduce ad un senso di inadeguatezza e solitudine, a pagarne di più le spese sono gli adolescenti.

Per la prima volta, in un contesto come quello attuale, “sembrano aver perso la propensione, naturale per la loro età, alla scoperta e ad uscire fuori per costruire relazioni con gli altri e, invece, si ritirano dal mondo reale per chiudersi in un mondo dello schermo fatto di una perfezione finta e in grado di far percepire la distanza tra la vita che hai e quella che ti propongono” sostiene Pellai.
LE PROSPETTIVE
Se oggi anche la spazzatura “aiuta a raccontare il vuoto di una società dei consumi che si riempie in maniera compulsiva di prodotti ed oggetti per poi, spesso, non usarli nemmeno – afferma Enrico de Tavonatti – è in primo luogo sullo speciale rapporto madre-figlio, dove si radicano, a volte, atteggiamenti di rifiuto che riverberano nell’intero corso della vita, che bisogna indagare per capire la condizione di difficile empatia in cui si trovano i giovani”.
In gioco non c’è soltanto la pura felicità, a cui in fondo ognuno di noi ha diritto. “Sono prima di tutto un medico e considero la salute come la capacità di generare un equilibrio tra le dimensioni del corpo, della mente e delle relazioni – conclude – tutti possiamo raggiungerlo, ognuno a proprio modo, misurando la propria condizione specifica nel contesto in cui ci troviamo. In questo senso la felicità non solo è ciò che si fa, ma ciò che si è“.