Innovazione

Confimi. Digitalizzazione Pmi, analisi di un processo che è ancora da completare

Confimi Industria Monza Brianza e l'azienda Kalyos hanno organizzato un evento in cui è stata presentata una ricerca del Politecnico di Milano che ha evidenziato luci ed ombre delle imprese italiane.

lavoratore economia pc computer

Vimercate. Quasi tutte hanno un interesse elevato per il digitale, ma il loro approccio al tema è troppo timido e spesso si ferma al raccogliere dati relativi alla fabbrica e a gestire in maniera elettronica almeno una parte dei propri documenti aziendali. Questo in sintesi il profilo delle Piccole e medie imprese italiane, realtà imprenditoriali tra i 10 e i 250 dipendenti e un fatturato annuo sotto i 50 milioni di euro, che emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano.

Lo studio, presentato nel corso di un evento organizzato da Confimi Industria Monza e Brianza, in collaborazione l’azienda associata Kalyos, ha messo in evidenza luci ed ombre, strumenti e opportunità della trasformazione digitale nelle Pmi.

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Una tematica molto sentita, anche se non sempre affrontata con cognizione di causa nel dibattito pubblico, che è sicuramente di straordinaria importanza. Le Pmi italiane, infatti, sono solo il 5% del totale delle imprese attive, ma raccolgono più di un terzo degli occupati del comparto privato e producono il 41% del fatturato totale.

“L’innovazione digitale non è solo tecnologia come comunemente si pensa, ma prima di tutto un meccanismo che deve coinvolgere i processi aziendali, i sistemi organizzativi e, inevitabilmente, la cultura digitale delle Pmi, a partire dalla vision strategica dei vertici aziendali – spiega Federico Iannella, Ricercatore senior dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano – se, invece, ci si ferma all’infrastruttura informatica e agli impianti produttivi, si rischia di avere la pretesa di costruire una casa a partire dal tetto”.

I DATI

La ricerca del Politecnico di Milano, che ha analizzato un campione significativo di oltre mille Pmi italiane, dimostra che la trasformazione digitale nei processi aziendali primari, quindi produzione di beni e servizi, marketing e vendite, è un processo ormai avviato e generalizzato. Anche se raramente ad un primo approccio seguono azioni decise e conseguenti.

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“Il 96% delle Pmi raccoglie dati relativi alla fabbrica, ma in 6 casi su 10 questi dati sono gestiti ancora in modalità manuale o con strumenti di base quali fogli di calcolo – spiega Iannella – l’utilizzo di piattaforme dedicate si limita al 38% dei casi”. “Ecco perché sembra esserci un problema di consapevolezza – continua – se, infatti, 6 Pmi su 10 ritengono di avere un livello di digitalizzazione elevato nell’erogazione dei propri servizi, nei fatti il 43% mostra una gestione documentale scarsamente informatizzata e 1 su 5 non ha un responsabile IT (Information Technology)”.

Con queste premesse nella maggior parte dei casi le Pmi adottano strumenti digitali per raccogliere dati aziendali, ma poi non sono in grado di analizzarli in profondità, metterli in correlazione e integrarli con fonti esterne. Sostanzialmente in 9 casi su 10 manca la capacità di realizzare progetti di Big Data.

“Solo la codifica e lo sfruttamento dei dati acquisiti crea valore all’interno dell’azienda con effetti, ad esempio, sulla riduzione dei costi, sui ricavi, sull’efficienza, sulla riduzione del time-to-market e sulla customer experience” chiarisce il Ricercatore senior dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano durante l’evento organizzato da Confimi Industria Monza e Brianza e da Kalyos, azienda con sede a Vimercate che da 20 anni si occupa di soluzioni informatiche integrate in particolare per imprese e studi professionali.

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LA CULTURA DIGITALE

È questo il vero quid che fa la differenza nella trasformazione digitale delle Pmi. Che è la summa di una vision strategica del vertice aziendale, della presenza di figure professionali per il digitale, di competenze e formazione e dell’approccio a tecnologie di frontiere, il cosiddetto Internet of Things.

“La nostra ricerca evidenzia che, per quanto riguarda l’approccio dei vertici aziendali, il 43% delle imprese non vede nel digitale un’opportunità di trasformazione – spiega Iannella – una delle conseguenze è che in quasi 2 Pmi su 3 è presente all’interno dell’azienda un responsabile IT/digital, ma solo il 32% di esse ha un team interno, anche perché i maggiori promotori di iniziative di digitalizzazione sono spesso solo gli imprenditori stessi o le persone legate alla loro sfera familiare”.

I RISULTATI

Le conclusioni della ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi del Politecnico di Milano disegnano un quadro di potenzialità ancora inespresse. Soprattutto per le imprese di dimensioni più piccole. “Abbiamo diviso le Pmi del campione in quattro profili in base alla maturità digitale – afferma Iannella – il 7% è “analogico”, quindi ha conoscenze e cultura digitale molto scarse, il 40% è “timido” perché manca di vision strategica e concepisce la digitalizzazione dei processi aziendali come una risposta ad obblighi normativi”.

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“Quindi abbiamo un 44% di Pmi che rientra nel profilo “convinto” perché ha una buona vision, buone competenze, ma non ancora uniformi tra il personale – continua – infine c’è un 9% del campione che è “avanzato” ed ha un pensiero digitale e un approccio proattivo al cambiamento”.

Che ci sia un legame significativo positivo tra digitalizzazione, accompagnata alla componente culturale, e performance economica e operativa è dimostrato dal fatto che le Pmi digitalmente più mature si dimostrano più resilienti, hanno un utile netto superiore (+28%) e un margine di profitto migliore (+18%).

Tutto questo è evidente anche nella filiera del legno e arredo, che ha una tradizione e un peso significativo a Monza e in Brianza. “In questo ambito la quasi totalità delle aziende è composto da micro-imprese e Pmi, che coprono una percentuale molto elevata degli addetti e del fatturato – afferma il ricercatore senior – l’innovazione digitale, in questo caso, si limita a strumenti tecnologici molto semplici che servono per svolgere in modo più efficiente ed efficace il lavoro dell’artigiano”.

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“La quotidianità, però, cannibalizza la programmazione gestionale e la cultura digitale non è una priorità di investimento – continua – manca, inoltre, una progettualità condivisa che permetta, attraverso il coinvolgimento di associazioni di categoria, vendor tecnologici e hub di innovazione, di sviluppare momenti di sensibilizzazione per estendere i benefici della digitalizzazione alla filiera/supply chain”.

LE APPLICAZIONI

Che attualmente sia ancora lunga la via verso la trasformazione digitale, che ormai coinvolge sempre di più anche gli studi professionali, in particolare avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro, è un dato di fatto. Che sia necessario passare attraverso un processo di contaminazione, l’espansione della cultura digitale e la sensibilizzazione dei vertici aziendali, lo dicono anche le aziende impegnate sul mercato dell’innovazione.

“I dati dell’ultimo rapporto Desi (Digital economy society index) del 2022 testimoniano che l’Italia è risalita fino al 18° posto sui 27 Stati europei grazie all’obbligo della fatturazione elettronica e alla spinta verso la digitalizzazione data dal Covid-19 – spiega Piermassimo Colombo, Amministratore Generale Kalyos Srl – ma solo il 55% delle nostre Pmi ha almeno un livello base di adozione di tecnologie digitali e oltre la metà dei cittadini italiani non dispone neppure di competenze digitali di base”.

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Eppure gli ambiti di applicazione del digitale e le sue potenzialità sono davvero interessanti. “Basti pensare alla fatturazione elettronica, all’archiviazione digitale e alla firma digitale, solo per citarne alcuni – continua Colombo – più in generale il digitale rende più facile e veloce l’accesso e la condivisione dei documenti e delle informazioni aziendali e consente la dematerializzazione dei processi”.

I dati di vendita di DocuWare, uno dei software di gestione documentale più usato tra le Pmi e le grandi aziende, che vedono nel 2021 l’Europa e l’Italia allineati su un trend in crescita, lasciano pensare che la direzione verso la trasformazione digitale sia ormai tracciata.

“Tra i nostri nuovi clienti non c’è una categoria industriale che prevale – spiega Maurizio Bensi, Italy Country Manager DocuWare GmBh – se, però, andiamo a vedere i reparti a cui i sistemi documentali digitali sono indirizzati, la finanza e la contabilità sono preponderanti, ma cominciano ad affermarsi anche le risorse umane per l’importanza sempre maggiore, anche a livello di immagine aziendale, del trattamento dei dati sensibili e il comparto vendite per una maggiore efficienza nei processi e nell’organizzazione”.

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