Elezioni 25 settembre

La richiesta di Nidil Cgil alla politica: “Si metta al centro il tema del lavoro”

Il segretario del sindacato di Monza e Brianza, Lino Ceccarelli, si augura che il nuovo Governo affronti il problema della precarietà e si occupi dei contratti a tempo determinato e delle collaborazioni.

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Riportare l’obbligo di causale per i contratti a tempo determinato sin dal primo giorno di contratto; garantire la democrazia sindacale, con una norma che difenda i contratti migliori dalla contrattazione pirata; parificare le condizioni dei dipendenti e dei collaboratori garantendo a tutti, senza distinzione di tipologia contrattuale, gli stessi diritti con un nuovo Statuto del Lavoro; mettere il Ministero del Lavoro in condizione di svolgere la sua funzione di controllo; formazione e riqualificazione permanenti.

L’elenco delle questioni relative al mondo del lavoro che, secondo Lino Ceccarelli, Responsabile Nidil (Nuove identità lavoro) e dell’Area Giovani e Lavoro della Cgil di Monza e Brianza, dovrebbero essere la priorità della campagna elettorale per le politiche del 25 settembre e del prossimo Governo, è corposo.

Lino Ceccarelli-Cgil-Monza-Brianza (Copia)

IL CONTESTO

L’obiettivo di Nidil Cgil di Monza e Brianza è un accorato appello alle forze politiche nazionali perché affrontino finalmente nel suo complesso la precarietà, uno dei mali principali della condizione del lavoro in Italia. Comprese Monza e la Brianza.

“Nel nostro Paese ci sono oltre 7 milioni di lavoratori con contratto a tempo determinato o di collaborazione, continuativa ed occasionale, e 5 milioni di persone con un salario medio effettivo non superiore a 10 mila euro lordi annui – afferma Ceccarelli – rientrano tra i cosiddetti “working poors”, i lavoratori poveri, quelli che, pur avendo un lavoro, magari anche a tempo indeterminato, non guadagnano a sufficienza per permettersi un’esistenza dignitosa”.

Fenomeni sociali ed economici in crescita che stanno assumendo toni sempre più drammatici e preoccupanti. Non soltanto per i giovani italiani che finiscono per emigrare all’estero. Anche nei Paesi Baltici o in Polonia, dove fino a qualche anno fa non ci si sarebbe aspettati di trovare condizioni di lavoro migliori che in Italia. Tra le cause che hanno determinato la situazione attuale ci sarebbero da un lato l’evoluzione del mercato del lavoro e dall’altra i cambiamenti istituzionali.

Infortuni lavoro

“Sul primo fronte i cambiamenti tecnologici della struttura produttiva, che hanno favorito la domanda di lavoratori qualificati rispetto a quelli non qualificati e la delocalizzazione del lavoro nei paesi a più basso costo – sostiene il Responsabile Nidil (Nuove identità lavoro) e dell’Area Giovani e Lavoro della Cgil di Monza e Brianza – a questa dequalificazione delle professionalità c’è una sola risposta, la formazione permanente”.

“Tra i cambiamenti istituzionali rientrano certamente le riforme di liberalizzazione del mercato del lavoro che hanno determinato il peggioramento della qualità delle posizioni lavorative – continua – ma anche l’indebolimento del potere contrattuale dei sindacati e il minor ricorso alla contrattazione centralizzata con la cosiddetta “contrattazione di prossimità”, secondo la quale è possibile peggiorare le condizioni di lavoro con accordi aziendali e/o territoriali e il conseguente aumento selvaggio dei contratti nazionali, che sono passati da circa 400 a oltre 900”.

LE PROPOSTE

La correzione delle numerose storture del mercato del lavoro italiano e di dinamiche salariali spesso al di sotto della dignità umana, secondo la Cgil, non passa esclusivamente attraverso la diffusione del tanto dibattuto, anche nella campagna elettorale in corso, salario minimo. Ma deve comprendere una revisione del contratto a tempo determinato e delle collaborazioni.

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“Il Governo Renzi che ha approvato il famoso Dlgs 81/2015, il cosiddetto “job act”, ha anche liberalizzato i rapporti a tempo determinato, togliendo ai datori di lavoro l’obbligo di rendere esplicita la causale, cioè la giustificazione del tempo determinato – spiega Ceccarelli – quando si assumono lavoratrici o lavoratori a tempo determinato senza che ci siano le ragioni che giustifichino queste limitazioni temporali, siamo di fronte non solo ad un abuso del proprio potere di datore di lavoro, ma ad una frode contrattuale. Non lo dice solo il sindacato, lo dicono le sentenze dei Tribunali”.

“Il Decreto Di Maio dell’estate 2018 prevede un limite massimo di 12 mesi, senza causale, più altri 12 con causale per i contratti a tempo determinato: ma perché non fare la cosa più giusta, cioè chiedere la causale sempre? – continua il sindacalista – inoltre i limiti di 12/24 mesi non valgono per le Amministrazioni Pubbliche. Questo consente, ad esempio, che negli ospedali della Brianza ci siano almeno 300 operatori sociosanitari e infermieri mandati dalle agenzie, quasi tutti con contratti a tempo determinato, che raramente superano i tre mesi, nonostante alcuni di loro siano impiegati lì da 8 anni, con contratti continuamente prorogati”.

LE COLLABORAZIONI

Riguardano milioni di italiani, che hanno tutele sociali più deboli rispetto alla contrattazione collettiva nazionale e prestazioni per molti aspetti penalizzanti. Le collaborazioni, nonostante esista una specifica disoccupazione, la Dis-coll, che può arrivare a un periodo massimo di sei mesi, e alcune recenti conquiste, come il riconoscimento della indennità di malattia e di infortunio, sono uno degli esempi più lampanti di precarietà nel lavoro.

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Lino Ceccarelli in un'immagine di repertorio

“I collaboratori non hanno il riconoscimento del diritto al riposo, rappresentato da ferie e permessi retribuiti, né il diritto alla formazione, che è tutta a loro carico, non hanno tredicesimaTfr” chiarisce il Responsabile Nidil (Nuove identità lavoro) e dell’Area Giovani e Lavoro della Cgil di Monza e Brianza.

“Peggiore è la situazione delle collaborazioni occasionali, ovvero delle prestazioni di lavoro senza contratto, dove il lavoratore viene pagato dietro emissione di notula e il datore di lavoro trattiene la cosiddetta “ritenuta d’acconto” ovvero il 20 % dell’importo, che viene versato all’Agenzia delle Entrate come anticipo delle tasse che il lavoratore dovrà pagare – continua – non ci sono altri obblighi, da parte del datore di lavoro, il terreno ideale per far proliferare il lavoro in nero”.

DUE CASI CONCRETI

Sono numerose le persone, soprattutto impiegate nei call center, negli studi professionali, nella scuola paritaria, a cui Nidil Cgil, tra le altre cose, offre tutele nelle vertenze, soprattutto per il problema del recupero dei contributi previdenziali evasi dal datore di lavoro, ma anche assistenza per gli adempimenti fiscali dovuti dalle partite iva individuali.

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Persone in carne ed ossa, non semplici numeri di una statistica, che spesso hanno una vita familiare che è difficile da portare avanti nell’imperante precarietà lavorativa. “Una lavoratrice cinquantenne, circa due anni fa, rispose ad un’inserzione che proponeva lavoro come operatrice telefonica per una società di Cernusco sul Naviglio, e precisamente un contratto di collaborazione occasionale – racconta Ceccarelli – iniziò a lavorare dal lunedì al venerdì part-time a 450 euro al mese, ma con la pandemia l’azienda decise unilateralmente di svolgere il lavoro in smart working, con una riduzione della paga a 350 part time (4 euro l’ora)”.

“La lavoratrice non accettò questo cambiamento e, insieme a 7 colleghe, si rivolse al sindacato, in particolare alla Cgil Nidil Cgil, che con la collaborazione dell’Ufficio Vertenze Legali della Camera del Lavoro di Monza è riuscita dopo circa 6 mesi ad ottenere il riconoscimento dei loro diritti sulla retribuzione e il pagamento di un risarcimento da parte dell’azienda – continua – abbiamo vinto perché siamo riusciti a dimostrare che non si trattava di libere collaborazioni, ma rapporti di vero e proprio lavoro dipendente”.

Non meno significativa la storia di un lavoratore che, a causa della crisi del 2008, dovette chiudere la sua azienda, che realizzava, in Sicilia, impianti stampa per cartone ondulato. Entrò in contatto con un’azienda brianzola attiva nello stesso settore, che gli propose un contratto a tempo determinato di un anno con uno stipendio di 1800 euro lordi, per riorganizzare il reparto, e poi il passaggio a tempo indeterminato.

“Invece del contratto a tempo determinato si presentano con un contratto di prestazione occasionale, con l’impegno di sanare subito la posizione – spiega il sindacalista di Nidil Cgil – passano quattro mesi e finalmente il rapporto di lavoro viene “sanato”, ma con la proposta di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, il co.co.co”.

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“Il “collaboratore” si preoccupa di controllare il versamento dei contributi: nulla, zero – continua – scopre che senza i contributi pagati non ha diritto alla Naspi ed in più, dovendo cumulare le entrate da collaborazione occasionale con quelle da co.co.co., dovrà pagare ulteriori tasse aggiuntive. L’unica soddisfazione? L’azienda brianzola non è riuscita a trattenere i vecchi clienti che il collaboratore portava in dote”. Una soddisfazione decisamente amara.

“Centinaia di storie come questa abbiamo intercettato negli anni seguiti al job act di Renzi – conclude Ceccarelli – oggi diciamo alla politica che tutelare il lavoro significa, soprattutto, combattere i tempi determinati ingiustificati, e le false collaborazioni. Il nuovo governo, qualunque esso sia, lo farà? Noi, Cgil, la nostra parte continueremo a farla”.

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