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Reinhold Messner ospite di DF Sport Specialist: “Salviamo l’alpinismo tradizionale”

Il re degli Ottomila ha raccontato la sua visione della montagna e l'amicizia con Walter Bonatti, che è stata immortalata anche in un film.

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Sergio Longoni e Reinhold Messner

Nelle situazioni estreme, quelle che ci fanno sentire come una pallina da tennis sul nastro della rete, in bilico tra il restare dove siamo e l’andare oltre, è più facile perdersi o ritrovarsi. Reinhold Messner, nella sua lunga vita da alpinista ed esploratore, si è trovato tante volte a fare i conti con se stesso e con il pensiero che quei conti potessero essere quelli definitivi.

Ma oggi Messner, a 78 anni, occhi chiari, che fanno trasparire un’anima da eterno avventuriero, capelli e barba folti, ormai resi quasi totalmente bianchi dallo scorrere del tempo, può ancora raccontare le sue esperienze e le emozioni vissute nei decenni in giro per il mondo. Lo ha fatto anche il 18 giugno nel corso della serata “A tu per tu con i grandi dello sport” organizzata da DF Sport Specialist a Sirtori in provincia di Lecco.

UNA VITA LEGGENDARIA

“Sono stato un giovane arrampicatore che si è misurato prima di tutto con le vie famose e più difficili disegnate dalla roccia delle Dolomiti, il luogo dove sono nato – racconta Messner nella conferenza stampa che ha preceduto l’incontro con il pubblico – quando ho perso parzialmente le dita dei piedi, ho abbandonato l’arrampicata e dal 1970 sono diventato un alpinista d’alta quota”.

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I ricordi di questa vera e propria leggenda vivente di una specialità capace di andare ben oltre lo sport si perdono quasi nel tempo. Messner, infatti, tra il 1970 e il 1986 è stato il primo uomo a raggiungere la vetta delle quattordici cime che superano gli 8mila metri senza l’ausilio dell’ossigeno. Le imprese sull’Himalaya, in particolare quella sull’Everest, anche in solitaria nel 1980, lo hanno consegnato alla storia e all’immaginario popolare.

“Tra i 40 e i 50 anni ho abbandonato l’alpinismo d’alta quota per diventare esploratore sull’orizzontale, dalle traversate in Antartide quando siamo stati esposti a temperature glaciali per 92 giorni alla Groenlandia fino al Deserto del Gobi” spiega Messner, nativo di Bressanone nell’Alto Adige e cresciuto in una famiglia numerosa di lingua tedesca.

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Messner e Bonatti

“Dopo i 50 anni, quando il mio fisico ha cominciato ad essere debilitato anche dalla rottura del tallone, mi sono dedicato sempre di più allo studio delle popolazioni delle montagne, anche quelle sacre – continua – ho creato il progetto del Messner Mountain Museum, un circuito museale che ha diverse sedi e si occupa dei molteplici aspetti della montagna, compresa l’agricoltura”.

L’AMICIZIA CON BONATTI

Messner, sin dall’inizio del suo lungo ed entusiasmante percorso di vita, che lo ha visto impegnato anche come scrittore e politico, ha avuto un modello di riferimento, Walter Bonatti. “Il re delle Alpi”, che in particolare per i brianzoli e i lombardi, come ricorda Sergio Longoni, patron di DF Sport Specialist, “resta un punto di riferimento importante nel mondo dell’alpinismo e dell’esplorazione”, apparteneva alla generazione precedente a quella di Messner.

Il loro legame, però, che è stato prima di tutto ideale, resta ancora intatto a quasi 11 anni dalla morte di Bonatti. Tanto che la serata del 18 giugno di “A tu per tu con i grandi dello sport” ha visto anche la proiezione del film “Fratelli si diventa. Omaggio a Walter Bonatti, l’uomo del Monte Bianco”, di Alessandro Filippini e Fredo Valla.

La pellicola, un vero e proprio documentario dedicato a 50 anni di alpinismo, mostra anche le riprese di alcuni degli incontri tra Bonatti e Messner. In particolare uno, inedito, che si svolse a Dunino, in provincia di Sondrio, nel casale in Valtellina dove ha trascorso gli ultimi anni di vita l’alpinista lombardo, noto anche per aver partecipato nel 1954 alla discussa spedizione italiana alla conquista del K2.

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Il film, che sin dal titolo ruota intorno alla forte amicizia tra due grandi personaggi che per anni si evitarono e si incontrarono per la prima volta di persona solo nel 2004, collega attraverso le immagini tre epoche della storia dell’alpinismo. Gli anni ’30 delle grandi scalate di Riccardo Cassin, alpinista e partigiano friulano, gli anni ’50 e 60’ di Bonatti e delle sue imprese sul Monte Bianco, nella Ande e in Patagonia e gli anni ’70 e ’80 degli Ottomila di Messner.

In “Fratelli si diventa” è proprio la visita di Bonatti e Messner a Cassin per il suo compleanno numero 100 a suggellare uno spirito comune e una visione simile dell’alpinismo e dell’avventura. Che, oggi, stanno assumendo sempre di più contorni diversi. Sicuramente meno mistici e affascinanti.

LE NUOVE SFIDE

Ecco perché una delle missioni attuali di Messner, che continua a cercare sempre nuovi obiettivi da raggiungere, è di conservare la memoria dell’alpinismo tradizionale. E, anzi, se possibile, far capire alle giovani generazioni che si può ancora vivere la montagna, cercare nuove vie e imprese, senza affidarsi troppo ai mezzi che la tecnologia oggi offre con estrema facilità.

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L’alpinismo è un fatto culturale e non soltanto sportivo o turistico – afferma Messner – è l’arte di sopravvivere in un mondo selvaggio dove si prende in considerazione la possibilità della morte, è il tentativo di capire cosa succede in noi, è il modo più forte che ognuno di noi ha per darsi la risposta alla domanda su che cosa ci stiamo a fare su questa terra”.

Aspirazioni ambiziose, insomma, davvero di alta quota, verrebbe da dire, che corrono il pericolo di scomparire. “Oggi gli 8mila metri vengono preparati dagli sherpa che portano ai vari campi base dell’Everest i depositi di ossigeno – spiega l’alpinista altoatesino – a maggio, poi, arrivano i turisti che salgono in cima quasi senza sapere dove sono. Cercano il silenzio, ma salgono in 400, incastrati tra loro e il più delle volte senza conoscersi nemmeno”.

“Anche l’arrampicata sta diventando sempre più sport, una disciplina olimpica, che viene fatta su rocce difficilissime da affrontare, ma indoor, dove tutto è perfettamente misurabile e ripetibile” continua.

La salvaguardia di ciò che è stato l’alpinismo tradizionale, quello di Bonatti e Messner, è reso più difficile anche dall’uso massivo dei social network. “La narrazione e le emozioni scorrono troppe veloci e non lasciano spazio alla riflessione e alle notizie di un’impresa – sostiene il re degli Ottomila – bisogna recuperare una dimensione più profonda che ci permetta di capire quanto solo noi stessi possiamo dare il senso dovuto alla nostra vita”.

Più sono andato in montagna, più successi ho accumulato e più mi sono sentito piccolo di fronte alla montagna” è il messaggio che Messner lascia alle nuove generazioni. Una lezione di amore e rispetto per la bellezza della natura che ci circonda.

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