L'ultimo libro di gino strada

Con Emergency a Ceriano Laghetto per parlare di “Una persona alla volta”

Una serata per parlare del libro di Gino Strada, ma soprattutto del lavoro di Emergency. Ecco quello che ci ha raccontato una volontaria.

Con Emergency a Ceriano Laghetto

Dall’Afghanistan al Sudan, arrivando fino all’Ucraina e, infine, all’Italia: la serata organizzata giovedì 16 giugno da Emergency a Ceriano Laghetto per presentare “Una persona alla volta”, l’ultimo libro di Gino Strada uscito postumo a inizio di questo anno, è stato un vero e proprio viaggio. Non solo nella geografia, dettata dalle aree di intervento di Emergency, ma anche tra i temi più sentiti dall’associazione e nelle convinzioni del suo fondatore, come il diritto alla cura e il rifiuto della guerra.

Come giornalista di MBNews ho avuto il piacere di moderare l’incontro introducendo gli interventi di Serena Gensini, volontaria dal 1998, e le letture dell’attrice Annalisa Brianzi, che ha dato voce alle parole di Gino Strada.

Con Emergency a Ceriano Laghetto

I volontari

E allora partiamo proprio dall’inizio: non tanto di Emergency (quello lo racconta già Strada nel suo libro), ma dell’esperienza di volontariato di Gensini, una storia che può fare da modello a tante altre. “Come tante cose belle nella vita, mi sono avvicinata a Emergency per caso – racconta -. Nel 1994 ero a casa di amici, la tv era accesa e abbiamo visto Gino al Maurizio Costanzo Show. Mi colpirono i suoi occhi e le sue parole, e d’impulso facemmo tutti insieme una donazione. Ritrovai poi i banchetti di Emergency anni dopo, a Milano. Mi sono avvicinata per chiedere dell’associazione… e ne faccio parte da allora”.

Sono proprio i volontari come lei che rendono possibile l’esistenza stessa di Emergency: organizzati in 170 gruppi territoriali, riescono a mantenere il più bassa possibile la voce costi, diffondendo al contempo una cultura di pace.

Il diritto alla cura

Il diritto alla cura, per tutti, è uno dei capisaldi di Emergency. E si intreccia anche con la storia personale di Gensini. Lei inizialmente non lo sapeva, infatti, ma in “Una persona alla volta” c’è anche lei. “Per caso lo avevo appena comprato quando mi ha chiamato Simonetta (Gola, la moglie di Strada, ndr) per dirmelo. Inizialmente pensavo di comparire in una foto: quando invece ho letto il brano mi sono messa a ridere e piangere insieme, è stata un’emozione incredibile“.

Gensini infatti viene citata in un capitolo cruciale del libro, quello dedicato al diritto alla cura. Durante una discussione sull’opportunità di aprire un centro di cardiochirurgia in Africa, racconta Strada, aveva smontato qualsiasi obiezione:

“Sua figlia Elena era venuta alla luce (…) con aorta e arteria polmonare invertite. Appena nata era stata sottoposta ad un intervento per la trasposizione dei grandi vasi, con tutta l’apprensione dei neogenitori per un’operazione al cuore su una neonata, ma anche con la certezza di avere la possibilità di curarla perché potesse avere una vita normale. (…) Serena (…) diede una lezione a tutti quelli che erano lì ad ascoltare: “Non trovo una ragione per cui Elena abbia avuto la possibilità di essere operata e sopravvivere e i genitori di un bambino sudanese debbano rassegnarsi a vederlo morire appena nato”.

“Il diritto alla cura è proprio questo – spiega -: curare tutti, bene e gratuitamente, come se ognuna di quelle persone fosse nostro figlio. Senza discriminazioni, senza cure di serie B e senza ragionamenti del tipo “meglio che niente”: anche gli ospedali devono essere belli, dei luoghi di cura dove stare bene. Per me all’epoca era stato facile immedesimarmi: d’altra parte quando mi era stata prospettata la necessità dell’operazione mi ero informata e avevo visto che nella sola Regione Lombardia erano 27 le strutture gratuite a cui potevo accedere per l’operazione. A oggi quella di Emergency in Sudan è l’unica nell’intero continente africano“.

“Diritti, non rovesci”

Gensini si sofferma anche sul significato profondo di quel “curare tutti”. “Quando vado a parlare nelle scuole – racconta – capita che i bambini mi chiedano se con “tutti” intenda davvero tutti: per esempio, si domandano se “cureremmo anche Putin”. E io rispondo di sì, perché altrimenti il diritto alla cura non sarebbe più tale, ma si chiamerebbe rovescio“. Un quesito, e una risposta, che riecheggia le domande fatte a Gino Strada nei primi anni 2000, quando qualcuno gli chiedeva se curava anche i talebani in Afghanistan. E la risposta non poteva che essere “sì”.

L’Afghanistan

Afghanistan: se c’è un Paese che nell’immaginario comune è legato a Emergency, è proprio questo. Qui Strada ha fatto le sue prime esperienze di interventi umanitari, prima di Emergency, e qui i suoi volontari operano da più di vent’anni, unica ong occidentale sul territorio ai tempi dell’attacco degli Usa. “20 anni di guerra hanno ridotto l’Afghanistan peggio di come era. Noi siamo sempre rimasti, e il nostro ruolo non è cambiato: abbiamo costruito 3 ospedali e 40 centri di primo soccorso, che assicurano una presenza concreta a livello di cura”. Certo è che il Paese che negli anni ’70 era una desiderata meta turistica oggi non esiste più.

“Il problema è anche che quando si spengono i riflettori sull’emergenza di un Paese, quelle popolazioni che stanno soffrendo vengono ignorate – continua Gensini, che porta a esempio il tema delle mine antiuomo -. Parliamo di un altro Paese, la Cambogia, che è in pace da 50 anni e che è considerato sicuro, anche per una donna che viaggia da sola come ho fatto io. La Cambogia è sicura, è vero, ma è vietato allontanarsi dai sentieri tracciati: il territorio è disseminato di mine antiuomo, frutto dei conflitti passati. Il costo economico di una singola mina è bassissimo, va dai 3 ai 5 €, ma il danno che se ne ricava è enorme”.

Contro la guerra

Arriviamo così a parlare dell’altro grande tema del libro e, in realtà, di tutta l’opera di Emergency: la guerra. “Per Emergency la guerra è da rifiutare senza se e senza ma” spiega Gensini, facendo eco a una frase scritta da Gino Strada, tragica nella sua attualità: 

Nel mondo atomico in cui viviamo, non possiamo più permetterci la guerra

Eppure non solo si continua a combattere, ma la guerra, con il conflitto in Ucraina, si è avvicinata ancora di più a noi. Cosa possiamo fare noi persone comuni per cambiare le cose?

“Non ci sono scommesse impossibili – interviene Gensini -. Un mondo senza guerra è semplicemente qualcosa che non si è ancora realizzato, non vuol dire che non si realizzerà mai: anche la schiavitù è stata abolita, anche la segregazione razziale. Forse noi non lo vedremo, un mondo senza guerra, ma ci dobbiamo lavorare, senza aspettare che siano i politici a farlo. I sondaggi dicono che l’80% della popolazione è contrario alla guerra e all’invio di armi: dobbiamo renderci più visibili, rendere evidente la nostra contrarietà, basta anche una bandiera della pace o un’immagine profilo sui social. Se chi fa politica ci considera solo durante le elezioni, beh, facciamoci vedere e sentire!”.

L’Ucraina

Impossibile parlare di guerra senza parlare di Ucraina. “In questa occasione ho visto per la prima volta in tanti anni un vero movimento di aiuto, è stato bellissimo. Noi di Emergency siamo presenti, come sempre, ma non ci siamo mossi nell’immediato: abbiamo preso del tempo per capire come intervenire nel miglior modo possibile. Abbiamo un politruck, un poliambulatorio su ruote, per seguire gli spostamenti dei profughi lungo il confine, e ogni settimana contattiamo gli ospedali per sapere di che materiali hanno bisogno. A Milano abbiamo inoltre allestito uno spazio per l’ospitalità e una scuola di italiano”.

L’Italia

Territori di guerra, paesi del terzo mondo… Emergency, però, è anche in Italia. “Abbiamo cominciato nel 2006, perché avevamo visto che c’era bisogno di assistenza sanitaria per i migranti: perché se non hai la residenza non hai un medico. Poi, con la crisi economica, hanno cominciato ad arrivare anche gli italiani. In Italia infatti il diritto alla cura non è sempre assicurato. Se ho bisogno di cambiare la gradazione degli occhiali, per esempio, posso accedere alla visita, ma nessuno mi paga le lenti nuove. Una situazione che si sta aggravando sempre di più con la privatizzazione della medicina, quando abbiamo cominciato a considerare i luoghi di cura come aziende“.

Emergency: un messaggio di speranza

Alla fine, nonostante tutto, il messaggio che ci si porta a casa dopo più di un’ora di confronto è di speranza: “Dobbiamo avere la consapevolezza che ognuno di noi può fare la differenza”, ci dicono da Emergency. La nostra unica speranza per un mondo senza guerre, più giusto e più vivibile per tutti.

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