Spettacolo

Monza, Teatro Manzoni: le emozioni e la vita, il racconto di Massini affascina

La performance dello scrittore fiorentino, non priva di momenti di ironia, ha offerto un percorso dentro noi stessi e la nostra società che troppo spesso rifiuta la verità nella sua essenza.

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“Le emozioni ci salveranno”. Con questa frase Stefano Massini saluta il pubblico del teatro Manzoni di Monza al termine del suo spettacolo “L’alfabeto delle emozioni”. Chissà se nelle ultime parole dello scrittore fiorentino, raccontastorie noto anche al grande pubblico per le sue collaborazioni con il quotidiano Repubblica e il programma televisivo Piazzapulita, ci voleva essere anche qualche riferimento alla guerra in corso tra Russia e Ucraina.

Di certo, però, che sia il caso di un conflitto armato di portata mondiale, come più in generale nella vita, il messaggio che Massini lancia dal palco del teatro Manzoni è che le emozioni sono l’unico linguaggio vero nella comunicazione umana. Anche se proprio per questo, per l’impossibilità di barare, manifestare le emozioni è spesso considerato sintomo di fragilità e debolezza. E, sin da piccoli, quando ci viene detto di non piangere o ridere troppo davanti agli altri, impariamo a nasconderle in pubblico.

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UN ALFABETO PARTICOLARE

In un’ora e mezza di spettacolo, Massini, immerso in una scenografia scarna e composta solo da alcuni bauli, poche luci e un sottofondo musicale, costruisce una particolare lectio magistralis sulle sei emozioni primarie: paura, felicità, rabbia, disgusto, tristezza e sorpresa.

Con una narrazione diretta e affabulatoria, il racconto del 46enne scrittore fiorentino, che è stato anche assistente di Luca Ronconi al Piccolo Teatro di Milano, si svolge intorno ad alcune parole di cui estrae le lettere iniziali per poi attaccarle su un pannello, a comporre qualcosa di impronunciabile e incomprensibile. Come forse, in fondo, sono proprio le emozioni.

LO SPETTACOLO

La prima lettera è la P di Paura. “Qualcosa che, secondo il senso comune, non dovremmo avere o comunque superare, mentre invece ci è stata data come reazione ad una minaccia” afferma Massini. Che per spiegare questa emozioni al pubblico del Manzoni torna indietro al 1976. A Niki Lauda, pilota allora della scuderia Ferrari, che rischiò di morire incendiato nella sua macchina.

Tornò a gareggiare poche settimane dopo, nonostante il volto e il corpo ancora ustionato, ma all’ultimo Gran Premio della stagione in Giappone, quando era ad un passo dal vincere il mondiale, rifiutò di partecipare perché la pioggia gli trasmetteva la paura del ricordo del terribile incidente subito.

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Dopo la P, il racconto di Massini passa alla F di felicità. Che, nel corso della storia umana, dopo essere stata un lusso, un premio dopo la morte, un diritto sancito anche nella Costituzione americana, oggi è un dovere a cui nessuno si può sottrarre. Pena, l’essere considerato un antisociale, antipolitico.

“La felicità, invece, è un istante che passa, una fuga” spiega Massini. Che, a supporto delle sue parole, cita il Foster Wallace di “Una cosa divertente che non farò mai più”, Franz Kafka, che voleva vedere a tutti i costi Cracovia, ma in un lungo viaggio ci passò senza accorgersene e Kurt Vonnegut che ha sintetizzato tutto nella famosa frase “Quando sei felice, facci caso”.

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Poi, come una composizione musicale che punta a toccare le corde dell’animo del pubblico, lo spettacolo di Massini suona altre note. Dalla N di nostalgia, ma anche di nome, “il recinto che in qualche modo dovrebbe racchiudere chi siamo”, alla T di tristezza, “quella voce dentro di noi che ci dice la verità sulla realtà, anche se noi siamo abituati a renderla più bella come se avessimo photoshop”.

Dall’H, “l’unica lettera del nostro alfabeto che c’è, ma non si sente” alla O di odio che, come l’amore, richiede un grande impegno verso l’altro. “Uno sforzo che nella nostra società è divenuto insostenibile e, per questo, tendiamo a ridimensionare entrambi: l’amore attraverso parole come flirt o relazione, l’odio attraverso il costante uso del politically correct” per cui bisogna sempre esprimersi con equilibrio per evitare di offendere qualcuno.

Massini finisce il suo racconto con la lettera Z, che è l’ultima dell’alfabeto. “Viene dopo tutte le altre, messa in fondo proprio come spesso facciamo con le emozioni, mentre non dovremmo mai pentirci di ridere, piangere e togliere la museruola”.

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IL MESSAGGIO

La profondità della narrazione dello scrittore fiorentino non disdegna momenti di ironia, se non di comicità. Come quando, all’inizio dello spettacolo, con il quale gira l’Italia da alcuni anni, per spiegare la veridicità del linguaggio delle emozioni, racconta di un giovane attore alle primissime armi che, dovendo interpretare un ufficiale nazista che entra in scena urlando qualcosa in tedesco, non conoscendo la lingua, per caso impara la traduzione di “Vietato lanciare oggetti dal finestrino”.

Un grande successo, nelle numerose repliche, fino a quando il giovane attore con la sua compagnia non è a Bolzano. Dove ovviamente il pubblico, parlando tedesco, capisce il significato della frase. E non può che ridere per la sua palese inappropiatezza nel contesto della trama. “Un esempio di quanto la comunicazione umana spesso sia falsa, mentre le emozioni siano l’unico linguaggio vero”.

Gli spettatori del Manzoni si divertono senza esitazione anche quando Massini rivede la favola di “Biancaneve e i sette nani” in versione politically correct. Tra una regina che non era cattiva, ma aveva “solo” qualche problema relazionale ai nani che non erano tutti maschi, ma anche femmine e gender e, soprattutto, non erano bassi, ma semplicemente di un’altezza variabile a seconda della prospettiva della luce.

La conclusione è che dentro ognuno di noi ci sono più persone. “Bisognerebbe imparare a coniugare i verbi al plurale anche quando parliamo in prima persona” afferma Massini. Non per questo, però, sostiene lo scrittore fiorentino, siamo pazzi o affetti dalla sindrome della personalità multipla. È che l’alfabeto delle emozioni ha un codice tutto suo. E, se lo parliamo ci porta, forse, ad essere considerati un po’ malati dal mondo, ma ci permette di vivere davvero bene con noi stessi.

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