Intervista

Giorgio Cella, il giovane docente monzese che spiega la guerra Russo Ucraina

Giorgio Cella, monzese doc,  è un docente in Università Cattolica del Sacro Cuore e analista di politica internazionale, autore del libro Storia e geopolitica della crisi ucraina. Dalla Rus' di Kiev a oggi

Giorgio Cella MB

Monza. Giorgio Cella, monzese doc,  è un docente in Università Cattolica del Sacro Cuore e analista di politica internazionale, autore del libro Storia e geopolitica della crisi ucraina. Dalla Rus’ di Kiev a oggi (Carocci Editore). Lo abbiamo intervistato per capire a fondo le motivazioni che si celano dietro la guerra che da 20 giorni a questa parte sta destabilizzando il mondo.

La crisi in Ucraina è ormai una questione mondiale, come è nata l’idea di scriverci un libro?

In realtà si tratta della mia tesi di dottorato, scritta al tempo della prima crisi ucraina del 2014, al tempo già la più grande crisi di politica internazionale. Ora, la sua seconda fase è invece esplosa con una magnitudo imprevista e virulenta, con minaccia di contagio sul piano continentale. Il libro tuttavia raccoglie e ricostruisce tutti gli eventi principali nei secoli che hanno contribuito alla situazione di attrito degli ultimi anni tra Occidente e Federazione Russa.

Quale può essere il ruolo dell’Italia in questa crisi, rimarrà ancora in seconda fila?

L’Italia ha tutte le carte per poter contare in vari scenari dell’arena globale, Ucraina inclusa. L’Italia deve ritrovare la propria vocazione di potenza diplomatica, mediatrice, vantando le più antiche forme di diplomazie in Europa. Potrebbe essere anche la diplomazia vaticana a porsi come pontiere tra Russia e Ucraina, magari in un tandem insieme allo Stato Ebraico, che sta tessendo il tessuto di un dialogo difficile, ma anche se flebile, vitale. L’Italia farà anche il suo compito nella dimensione della accoglienza dei profughi ucraini, che qui in Lombardia e in Italia in generale hanno una delle comunità più cospicue d’Europa.

Per quali ragioni principali è scoppiata questa guerra?

Putin voleva, vuole, ridisegnare la mappa dei poteri nell’Europa centro-orientale e in Eurasia, riportando Kiev nell’alveo russo, con la forza, e rafforzare il legame con Minsk, con un occhio sempre fisso sulla Georgia e magari anche sulla Moldavia. Dall’altra parte l’Ucraina ha da decenni sviluppato un anelito europeista e filo occidentale, sebbene alternando anche momenti di cooperazione importante con Mosca. Ora, dopo la prima crisi del 2014 e l’atroce offensiva militare di Putin in corso, le aspirazioni degli ucraini verso un ingresso alla Nato appaiono compromesse, quantomeno nel medio periodo, mentre si accende la possibilità contraltare di una futura adesione all’unione europea.

Giorgio Cella MB

Come vede gli futuri scenari che possono scaturire da questa tragica situazione?

Uno scenario, il più negativo, è un allargamento delle azioni belliche fuori dall’Ucraina, il che potrebbe portare a uno scontro con paesi membri della NATO, il che potrebbe altresì portare a uno scontro con armi non convenzionali. Uno scenario positivo invece concerne una resurrezione delle trattative diplomatiche oggi in stallo e un compromesso su taluni punti che possono portare a un tavolo del negoziato ancora più multilaterale, come un nuovo congresso di Vienna. Prima di tutto ciò, naturalmente, dev’essere trovato un cessate il fuoco, che fermi il massacro di ucraini e dei loro patrimoni storico-culturali delle tante, splendide città ucraine.

Che scenari vede ora allo stato attuale delle cose?

Siamo in una fase ove alla tenue apertura diplomatica si affiancano scontri sempre più violenti sul campo, con un’offensiva russa sempre più forte e un progressivo assedio alle città quasi medievale, che crea un calvario umanitario per la popolazione. Ci si auspica che non vi sia alcuna entrata delle forze russa a Kiev in una battaglia casa per casa che sarebbe devastante sia per la popolazione che per il patrimonio artistico e storico di questa splendida città. Una replica delle distruzioni viste a Grozny e Aleppo sarebbe uno scenario da incubo. Il dialogo deve andare avanti: il doppio asse diplomatico con la Cina da un lato e con Israele e Turchia dall’altro può rappresentare una via d’uscita. Una conferenza di pace a Gerusalemme sarebbe l’epilogo, anche dal punto di vista simbolico, più auspicabile per mettere fine alla situazione di più grande rischio per la stabilità europea e mondiale dalla fine della Guerra Fredda a oggi.

 

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