Cultura

Max Marra in mostra a Catanzaro: “In Brianza non c’è abbastanza spazio per gli artisti del territorio”

L'artista lissonese si racconta in occasione della sua retrospettiva allestita al Museo Marca. "Con i sindaci della Lega Nord si lavorava bene, investivano nella cultura. Sarebbe ora di riproporre una mostra dedicata agli artisti del territorio".

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Da Lissone a Catanzaro attraverso più di quarant’anni di arte e ricerca, Max Marra è tornato a casa con la retrospettiva “L’inquieta bellezza della materia”, allestita al Museo Marca di Catanzaro, a cura di Teodolinda Coltellaro, amica da sempre dell’artista.

Un viaggio a ritroso lungo quattro decenni attraverso centoquindici opere, quarantacinque delle quali provenienti da collezioni private. Un allestimento che è stato prorogato fino al 25 settembre.

Quella di Marra con la Brianza è una storia lunga. “Sono arrivato la prima volta a Novara nel 1975 e a Lissone nel 1988”. Prima lo studio in via Gramsci, con l’amico e collega Mario De Leo, con il quale ha sempre condiviso gli spazi e la scelta del materiale di scarto come origine dell’ispirazione, ma mai la poetica, nel rispetto dell’individualità di ciascuno. E dopo quattro anni in via don Colnaghi, dove è ancora oggi, all’interno di una corte, al primo piano, dietro una porta di ferro che ritrae l’inconfondibile profilo di Marra.

Come è stato accolto dalla città?

“Da subito ho avviato un rapporto fruttuoso con l’amministrazione di allora. Nel 1996 organizzammo una mostra a palazzo Vittorio Veneto, insieme agli assessorati alla Cultura e Istruzione. Riuscimmo a coinvolgere i ragazzi delle medie di Lissone e i loro coetanei di Lamezia Terme, in un’unica mostra dal titolo “Chi semina raccoglie?!”. Si lavorava bene allora, con i sindaci della Lega Nord. Hanno dato tanto spazio alla cultura proprio perché sentivano di averne bisogno. Da tanto tempo non ritrovo più quello spirito di collaborazione”.

Oggi non sono presi in considerazione gli artisti del territorio?

“Un tempo c’era più cura per gli artisti locali. Il Premio Lissone, per esempio, nasce dall’ingegno dei legnemé, dalla loro intelligenza. Credo si debba tornare a quello spirito. Lo dobbiamo soprattutto ai nomi della nuova generazione. Perché non si trovano mai i nomi di artisti nelle commissioni cultura delle amministrazioni. Eppure loro, gli artisti, dovrebbero essere titolati a parlare d’arte, non i dirigenti dei comuni”.

Il suo studio, da cui sono passati negli anni artisti, musicisti, fotografi, è ancora oggi uno spazio di cultura?

“Qui abbiamo fatto concerti, incontri, teatro e serate memorabili. Una volta venne anche Gillo Dorfles, quando ero ancora in via Gramsci. Arrivò con il taxi direttamente dentro il cortile. Lo invitai e lui venne. Era il 1991. Nessuno degli amministratori degli ultimi anni è mai venuto a trovarmi in questo studio”.

E gli artisti più giovani vengono?

“Sì, loro arrivano in punta di piedi. Vengono da me per parlare, per un confronto, cercano consigli”.

Perché non organizzare una mostra che raccolga le opere dei nomi dell’arte contemporanea di Lissone e della Brianza?

“Sarebbe ora di fare un allestimento simile. L’ultima collettiva degli artisti del territorio risale al 2009. Si intitolava “Presenze del contemporaneo. Artisti in Brianza”. Organizzata dal Comune e dal Mac”.

Foto di Angiolicchio Luigi, dello studio Foto per hobby di Lissone

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