Salute

“Non puoi giocare a calcio perchè ti manca una mano”: la storia di Gaspare e la sua tenacia

"Lo sport dovrebbe essere sempre inclusivo, soprattutto per le persone disabili, che sovente si trovano a dover affrontare problematiche di relazione sociale fin dall'infanzia".

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E’ una storia controversa, a tratti surreale, quella vissuta da Gaspare, 32enne monzese. Disabile dalla nascita, ha imparato a vivere senza una mano. Nella sua vita non è mai mancato lo sport, che anzi a intervalli, ha anche praticato a livello agonistica. Pochi giorni fa, come di consueto negli ultimi anni, si è recato in una struttura sanitaria della città per la visita di idoneità fisica allo sport più amato dagli italiani: il calcio. Qualcosa però è andato storto: quel che si è sentito dire dal medico ha lasciato Gaspare dapprima impietrito, poi deluso e arrabbiato allo stesso tempo.

Non firmerò alcun certificato di idoneità fisica per uno sport da contatto come questo. Nessuna persona con la tua disabilità dovrebbe praticare questi attività sportive” – ha affermato il medico, restituendo immediatamente i documenti all’uomo. Gaspare, dinanzi a quel fermo diniego, il primo della sua vita, è rimasto senza parole. Il primo pensiero è stato: “Niente sport per i disabili fisici? E le Paralimpiadi allora? E l’importanza dello sport per qualsiasi disabilità? Quanto è utile dal punto di vista fisico, per il benessere che sa garantire, e in termini di interazione sociale?”.

Gaspare ammette di non essersi mai trovato prima in una situazione simile: “Gli altri anni mi sono sempre rivolto a una struttura privata del territorio, quest’anno sono andato altrove soltanto per una questione di date. Dove sono stato mi hanno dato l’appuntamento in tempi più brevi”.

Dal canto suo, il medico in questione ha spiegato la sua decisione, sostenendo che “nessuna persona a cui manca una mano o un piede dovrebbe praticare sport da contatto, perché nel malaugurato caso in cui dovesse procurarsi lesioni a un altro arto sano, la sua condizione generale peggiorerebbe drasticamente”.

Di tutt’altro avviso è stato invece il secondo medico, a cui Gaspare si è rivolto il giorno successivo: “Mi ha spiegato che nel corso della mia esperienza 40ennale non ha mai visto sportivi disabili riportare danni permanenti o invalidanti a un altro arto, praticando calcio. Per questa ragione non ha avuto alcuna remora a firmare il mio certificato di idoneità sportiva”.

Gaspare, dopo le dovute riflessioni, è giunto a una sua personale conclusione: “Considerato l’approccio del secondo medico e dei precedenti degli anni scorsi, forse il rifiuto del primo è stato legato alla volontà di non incorrere in potenziali rischi legali, in caso di infortunio”. Anche se, è doveroso precisarlo, lo specialista ha tutto il diritto di decidere se firmare o meno un certificato sportivo.

Le ragioni per cui il 35enne ha scelto di scrivere a MBNews sono comunque altre: “Ho deciso di raccontare la mia storia, perché questa vicenda mi ha lasciato l’amaro in bocca. Quando sono uscito da quella visita, oltre alla rabbia, si è fatto strada dentro di me un senso di mortificazione. Non sono riuscito nemmeno a ribattere, a far valere le mie ragioni. Il medico ha avuto un approccio sbrigativo e poco cordiale, sembrava volesse liberarsi in fretta del mio caso”.

Lo sport dovrebbe essere sempre inclusivo, soprattutto per le persone disabili, che sovente si trovano a dover affrontare problematiche di relazione sociale fin dall’infanzia e durante l’adolescenza, perché si sentono sbagliate, diverse. Io so bene cosa significhi. Per questo penso che lo sport (soprattutto quelli di squadra) possa essere una valida soluzione, che non debba essere preclusa a chi più ne ha bisogno”.

Escludere dallo sport i disabili sarebbe la peggiore delle sconfitte per tutti. Evitare che ciò ricapiti fa parte della soluzione.

Foto: Pixabay

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