Ambiente

Zucchine e diossina, il pericolo viene dall’orto: 3 verdure da evitare

Zucchine e non solo: tutta la famiglia delle cucurbitacee è a rischio quando si parla di diossina. Meglio evitare di coltivarle in zone sensibili: stesso discorso per le uova, se le galline sono allevate a terra.


Zucchine? No, grazie. O almeno, no alle zucchine coltivate in terreni contaminati da diossina. E, insieme a loro, meglio evitare tutta la famiglia delle cucurbitacee, che comprendono appunto, oltre alle zucchine, anche zucche, cetrioli, meloni e cocomeri: questa tipologia di piante, infatti, assorbe la diossina presente nel terreno, accumulandola: “Negli anni è emerso che alcune piante sono in grado più di altre di assorbire e filtrare, o, al contrario, di accumulare, le diossine residue – spiega il geologo Gianni Del Pero, presidente di Wwf Lombardia -. Cioè a parità di diossina, alcuni ortaggi, come appunto le cucurbitacee, sono in grado di bioaccumulare le diossine, concentrandole perché rilasciano essudati liberi: un meccanismo per cui le radici sciolgono il terreno separando la diossina dal terreno”.

La spiegazione di Del Pero arriva in un momento in cui, almeno in una certa parte di Brianza, la diossina è tornata a fare paura. Le dichiarazioni di Luca Allievi, l’ex sindaco di Seveso che ha dato le dimissioni denunciando “zone d’ombra” nella gestione delle vasche della diossina del Bosco delle Querce, hanno infatti risvegliato preoccupazioni che molti credevano sopite. E se la situazione delle vasche ancora non è chiara, qualcuno ha cominciato a chiedersi se vivere a Seveso sia effettivamente più pericoloso che altrove. Soprattutto se magari si abita nella ex zona B, e si possiede un piccolo orto: quanto è sicuro nutrirsi di alimenti cresciuti da quella terra contaminata dalla diossina dell’Icmesa dopo l’incidente di 45 anni fa?

Diamo alle preoccupazioni il giusto peso: la diossina sotto terra non è un problema, l’importante è non entrarci in contatto – rassicura Del Pero, che cita lo studio più recente svolto sul comune di Seveso -. Nel 2019 la Fla (Fondazione Lombardia per l’Ambiente), con il supporto di Arpa (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale), ha analizzato la diossina residua nelle aree verdi della ex zona B e dei comuni interessati dalla diossina del 1976, come Cesano e Desio, principalmente per verificare quali potevano essere le attività che, se svolte con attenzione, non avrebbero comportato rischi – spiega -. L’analisi di rischio da esposizione alla diossina residua è stato dunque effettuato per attività come la costruzione e le pratiche orticole e agricole. È possibile infatti valutare in quale percentuale le diossine presenti vengono inserite nel circuito di assorbimento delle persone mediante i processi di respirazione e ingestione o, in maniera più complessa, mediante l’ingestione di alimenti che la contengono”.

Lo studio ha portato a dei risultati attesi: nella ex zona B è tutt’ora sconsigliato coltivare le cucurbitacee per evitare che vadano a concentrare diossina. Stessa cosa con le uova prodotte a terra: via libera, invece, ad altri tipi di ortaggi. “Tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 abbiamo proposto di realizzare a Seveso un orto sperimentale proprio per quantificare meglio la concentrazione di diossina negli ortaggi, poi purtroppo l’arrivo della pandemia ha bloccato il progetto” aggiunge Del Pero, che all’epoca aveva sostenuto il progetto insieme a diversi esponenti del M5S.

Se non altro, il territorio contaminato dalla diossina dell’Icmesa (non solo a Seveso: la zona B si estendeva fino a Cesano Maderno e Desio, mentre la cosiddetta zona di rispetto si allargava fino a Meda e Bovisio Masciago e, in modo più contenuto, Barlassina) è un territorio monitorato: sulle zone circostanti, comunque inquinate anche solo per il fattore del traffico, non sono mai stati eseguiti studi approfonditi. E anche al di fuori della zona B sono presenti diossine: diverse da quella dell’Icmesa, magari meno pericolose, sicuramente meno studiate.

“Nel 2014, dopo una serie di studi nei dintorni degli inceneritori, l’Asl aveva diramato una circolare con la quale vietava la commercializzazione delle uova prodotte negli allevamenti in quelle zone, in particolare nell’area circostante l’inceneritore di Desio – ricorda Del Pero -. Solo l’autoconsumo era permesso. Alcuni allevamenti avicoli, infatti, producevano uova con delle concentrazioni di diossine superiori a quelli consigliati“. Oggi, che il limite per la presenza di diossina negli alimenti è statp ridotto da 10 a 6 nanogrammi per kg, anche altre zone potrebbero essere a rischio: il controllo spetta ad Ats.

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