Cultura

Dal Mosè Bianchi di Monza alla scrittura: ecco “Sangue”, il primo romanzo del prof fotografo

Gerardo Battagliere, alias Fabrizio Aureli, ha pubblicato una storia in cui realtà e fantasia, origini e passioni si mescolano. In quest'intervista si parla di "Sangue", ma anche di scuola ed editoria.

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“Noi dobbiamo forse alle passioni le migliori conquiste della mente”. Se, sulla scia di questa frase di Luc de Clapiers, marchese di Vauvenargues, saggista e moralista francese del Settecento, “Sangue”, il primo romanzo di Gerardo Battagliere alias Fabrizio Aureli, possa rientrare nella categoria delle migliori conquiste della mente, lasciamolo decidere all’autore. Ma possiamo sin da ora essere sicuri che questo originale docente di italiano e storia all’Istituto Mosè Bianchi di Monza abbia un’innata e viscerale passione per la scrittura e la lettura.

Passione che, partendo da spunti reali di cronaca, misti alla fantasia e ai ricordi di luoghi e personaggi della terra d’origine, l’Irpinia, hanno portato Battagliere a costruire una storia, pubblicata da Calibano Editore di Nova Milanese, in cui “tutti i personaggi fanno capo a un unico soggetto che risponde al dannato, al musicista, al barbone, al pazzo”.

Questo e molto altro ci viene raccontato in quest’intervista ad MBNews. Dalla motivazione che lo ha spinto a scegliere lo pseudonimo di Fabrizio Aureli, colui che narra in prima persona i fatti contenuti in “Sangue”, ad altre sue passioni, il body building e la fotografia. Che deriva dal greco e, sicuramente non a caso, significa “scrittura di o con la luce”. Ed, allora, nella vita personale di questo vulcanico docente quasi 50enne, probabilmente tutto sembra avere più senso.

L’INTERVISTA

Salve Sig. Battagliere, o meglio, dovrei forse dire Fabrizio Aureli. Lei è un professore di italiano e storia al Mosè Bianchi di Monza, ma ormai è anche uno scrittore debuttante. Prima di parlare di questo, però, ci svela il perché del suo pseudonimo?

La scelta di uno pseudonimo, mi permetta, non implica la spiegazione del perché se ne faccia uso, altrimenti perché ricorrere a tanto? Fabrizio Aureli è, tuttavia, la fusione di due grandi anime: il cantante Fabrizio De André da una parte e l’imperatore romano Marco Aurelio dall’altra. L’ossessione per la mitologia mi ha aiutato a fondere queste due entità restituendomi un unico soggetto.

Fabrizio Aureli è anche colui che narra in prima persona i fatti contenuti nel suo primo romanzo, “Sangue”. Da dove nasce l’idea di scriverlo?

Lo spunto iniziale mi è arrivato da un episodio di cronaca realmente accaduto nel mio piccolo paese d’origine, Scampitella, in provincia di Avellino, dove è stato investito un operaio al lavoro per portare finalmente il gas metano in un mondo rurale che l’attendeva da tanto e sta pian piano scomparendo.

Da lì ho immaginato screziature diverse di un unico dramma ordito mettendo insieme i fili della realtà e della fantasia. Tutti i personaggi fanno capo a un unico soggetto che risponde al dannato, al musicista non vedente, ispirato ad Ezio Bosso, da me molto apprezzato, al barbone, al pazzo: sono l’eredità inversa del dramma pirandelliano, dove l’uomo non può essere che Uno.

Qualcuno potrebbe pensare che “Sangue” sia l’ennesimo romanzo di un professore che decide di sfornare libri. Come si difende da questa possibile accusa?

Scrivere mi piace. È un diletto che pratico da sempre, ma non avevo mai avuto l’intenzione di pubblicare qualcosa. Io scrivo quando ne ho voglia e, soprattutto, quando sono ispirato. Non sapevo nemmeno quali fossero le modalità e i passaggi da seguire per la pubblicazione di un libro. L’editoria è un universo complesso e perfino i grandi autori, quelli che hanno acquisito fama e immortalità nelle letterature, come Andrea Camilleri, persino loro conoscevano o sono stati aiutati da qualcuno a pubblicare.

Allora come e quando è riuscito a far arrivare in stampa la sua opera prima?

Ho ceduto alle insistenze di mia moglie Mariella e, non conoscendo nessuno in ambito editoriale, ho cercato su internet l’indirizzo di dodici case editrici. Calibano Editore di Novate Milanese è stato l’unico a rispondermi. Il silenzio al quale mi ero rassegnato dopo alcuni mesi fu rotto dalle parole lusinghiere del signor Oreste H. Caimi che trovava gradevole e lineare il mio modo di scrivere. Dopo i vari passaggi necessari, siamo poi effettivamente arrivati alla pubblicazione.

In “Sangue” ha voce in capitolo anche un’altra delle sue passioni, la fotografia. Che ruolo ha nel romanzo e più in generale nella sua attività di docente?

Il protagonista, che arriva a rielaborare in maniera estrema quanto gli accade, è un fotografo di guerra che ha vissuto lo scenario di Nassiriya in Iraq. Nel complesso la scrittura mi ha portato a sperimentare anche come si possa fare la stessa cosa con la luce. Ecco perché ho ideato il LAF (Laboratorio Artistico Fotografico) più di vent’anni fa. Ho coordinato e diretto, in diversi istituti scolastici, progetti dove la scrittura e la fotografia fossero un binomio perfetto. Ho usato entrambe queste risorse per tirare fuori il meglio dai miei alunni, abbinando le immagini prodotte con gli studenti a percorsi letterari come il giallo e l’horror.

Come sta andando la promozione del tuo romanzo e hai in mente di pubblicarne altre?

Per colpa delle restrizioni dovute al Covid-19 non è stato possibile fare firmacopie e presentazioni. Sebbene l’editore abbia curato poco la distribuzione del mio romanzo nelle librerie, mentre si può acquistare in tutti gli store on-line, sono riconoscente e grato all’editore Prospero/Calibano per aver deciso di pubblicare la mia opera prima. Per me la priorità è affermarmi come autore.

Ho in mente di scrivere un altro romanzo. Sto raccogliendo il materiale necessario, ma il titolo che ho immaginato è “Il viaggio del pastore”. Anche in questo caso, come in “Sangue”, lo spunto è reale. Avevo, al mio paese di origine in Irpinia, uno zio fattore che soffriva di Alzheimer ed un giorno si perse in una grotta in un luogo isolato…

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