Economia

La “guerra” delle materie prime e le difficoltà degli imprenditori: “Costi e tempi raddoppiati”

Materie prime: a che punto siamo? Lo abbiamo chiesto a 4 imprenditori di Monza e Brianza attivi su settori diversi. Ecco le loro risposte.

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Materia prima, quanto ci costi? La difficoltà nel reperire materie prime è un problema che si sta diffondendo a macchia d’olio, interessando molte aziende italiane ed europee ormai da mesi. E anche qui in Brianza, sede di piccole, medie e grandi attività il tema non è passato inosservato, anzi, molti imprenditori descrivono come “drammatica” la situazione relativa al costo e al reperimento delle materie e per qualcuno l’incubo è solo all’inizio. Per avere un quadro più preciso di quello che le imprese stanno vivendo siamo tornati a confrontarci con alcuni imprenditori brianzoli, che hanno risposto alle nostre domande. Il verdetto? Unanime: così non si può andare avanti. 

Materie prime: una “guerra” di costi e di tempi

“I rincari e la carenza di materie prime è una piaga che ci ha colpiti diversi mesi fa, soprattutto nel periodo della ripresa a marzo – esordisce Rita D’Arenzo, manager di Lux Italia Srl, azienda italiana specializzata nello sviluppo di sistemi di illuminazione e di controllo. – Anche noi stiamo subendo le conseguenze degli aumenti e del rallentamento delle consegne. Fortunatamente abbiamo incrementato parecchio il lavoro, le commesse non mancano, ma gestire questo problema, legato per noi soprattutto al reperimento dell’alluminio e del Nichel Cadmio, silicio e plastica, ci preoccupa non poco, perché rischiamo di innescare un meccanismo di ritardi che nuocerà non poco le aziende sane che hanno resistito in questi 2 anni di pandemia”.

“Rispetto a qualche mese fa, quando si iniziava a parlare di “guerra delle materie prime” la situazione si è amplificata ed è peggiorata – ci spiega Anselmo Guizzi titolare della Ala Guizzi Srl, attività specializzata nella produzione di attrezzature saldate, fuse e misto fuso-saldato. – La ripartenza è stata brusca e l’alta domanda ha portato a galla una serie di problemi pratici. Chi ha, tende a soddisfare il mercato interno, e quando questo mercato interno è composto da miliardi di persone allora chi è fuori, come noi, non può che aspettare e subire le conseguenze. Che sono, banalmente, tempi e lunghi e materiali cari. Un esempio: un container proveniente dall’Asia due anni fa costava 3.500 euro, oggi si parla di 12-14 mila euro”.

“La situazione è drammatica – continua Mauro Sioli, titolare dell’azienda metalmeccanica Quickly-Tec Srl.- L’alluminio è introvabile e il prezzo si fa alla consegna. Il ferro, che dovrebbe essere il materiale più comune, ha un costo che è raddoppiato. Il rame è l’unico che si sta stabilizzando, ma c’è chi pensa che sia solo una condizione di stabilità passeggera. Insomma, le conseguenze sono ordini in calo, margine pari a zero e difficoltà nella programmazione”.

“Da inizio anno, con una escalation da inizio marzo, il mercato delle materie prime è letteralmente impazzito, con crescente difficoltà di reperimento, allungamenti dei tempi di consegna ed incredibile aumento dei costi. – prosegue Fabio Riboldi, Consigliere d’Amministrazione con delega agli Acquisti strategici di NPI Italia Srl, impresa specializzata nel collegamento tra la rete idrica e le caldaie murali. – Per quanto riguarda il nostro settore, particolare riferimento a tutti i derivati delle materie plastiche, ottone e acciaio, ma anche cartone, legno e materiali per imballaggi”.

Le conseguenze dirette sulle imprese

“In questi mesi stiamo cercando di reperire le materie prime, che nel nostro caso hanno subito un aumento del 45%, per via aerea, visto che lo sblocco dei trasporti nave è stato più lento – chiarisce D’Arenzo. – I costi aerei sono folli, ma per evitare di consegnare in ritardo i nostri prodotti stiamo gestendo il problema in questo modo. Per il momento non vediamo ancora la luce, e detto da noi, che produciamo proprio questo, non è un segnale di speranza positivo. Anche se a livello mondiale si sta cercando di sbloccare il limite delle quantità di materia prima da ordinare. Le faccio solo un esempio: sulla consegna di Nickel Cadmio c’è un ritardo di 1 anno. Le dogane gestite dai governi, dei rispettivi paesi, fermano i carichi e aumentano costantemente i prezzi delle materie prime, invece di snellire ed alleggerire la situazione. Quindi siamo ancora in alto mare”.

“Questa imprevedibile situazione ha comportato la necessità di pianificare con maggiore anticipo ogni acquisto, con maggiori rischi di creare obsolescenze e maggiore impatto finanziario; inoltre, soprattutto per materiali speciali, i tempi di consegna anche raddoppiati hanno impattato sul servizio al cliente ed al consumatore finale – spiega Riboldi. – Per quanto concerne il nostro settore, la situazione non e’ migliorata e non è nemmeno previsto un miglioramento a breve, al contrario potrebbero esserci ulteriori problematiche da settembre”.

“Ci sono ditte che si stanno fermando non perchè non c’è lavoro ma perchè non hanno le materie – tuona Sioli. – Non parlo come Italia, parlo come Europa: ci siamo dentro tutti. Abbiamo lasciato in mano ad altri, penso uno fra tutti la Cina, troppo e abbiamo preferito delocalizzare e comprare fuori tutto ciò che si poteva. Il risultato è che siamo rimasti dipendenti da altri”.

La politica? Serve un’intesa europea

“I nodi stanno venendo al pettine e la politica se ne renderà conto, se non lo ha ancora fatto – spiega Guizzi. – Serve minore pressione fiscale, ma anche trasmettere il fatto che la delocalizzazione ha fatto solo danni al nostro Paese, ai lavoratori in primis, che sono l’anima delle attività, e alle imprese italiane”.

“Buona parte di questa situazione è voluta e guidata dalla politica di mercato della Cina, che di fatto ha come obiettivo primario quello di consolidare il suo primato di “produttore” a scapito dei paesi europei , che vorrebbe diventassero sempre più “compratori” – sostiene Riboldi. – Questa opinione è suffragata dall’accaparramento in atto da parte della Cina di ogni materia prima  sui mercati mondiali, Africa in primis e dalle politiche economiche del Governo Cinese. Servirebbe quindi un forte accordo tra Cina Stati Uniti ed Europa, ma onestamente credo sia fantapolitica. Più facile sarebbe invece chiedere alla politica almeno un vero fronte unitario Europeo, con una task force dedicata, che difenda gli interessi delle aziende produttive che hanno ancora la forza e la volontà di mantenere in vita le unità produttive in Europa”.

“Servirebbe un’iniezione di liquidità in più alle aziende – conclude D’Arenzo. – La possibilità di prorogare i termini contrattuali degli appalti con le aziende, senza rischiare di perdere la commessa e di dover rimborsare i ‘clienti’; di stabilire un prezzo fisso ragionevole delle materie prime e dei costi di esportazione”.

 

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