Ambiente

45 anni dopo il disastro di Seveso il passato non passa

Gli anniversari servono anche a fare il punto della situazione. E quello del disastro di Seveso, se da un lato ci mostra quanta strada abbiamo fatto, svela che per molti il 10 luglio 1976 non è mai passato.

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Sono passati 45 anni dal disastro di Seveso. Ma oggi, proprio a Seveso, “il passato non passa”. È la conclusione, amara, di Massimiliano Fratter, che sabato 10 luglio ha tenuto una visita guidata al Bosco delle Querce per ricordare il 45esimo anniversario dell’evento che legò per sempre il nome di Seveso al disastro ambientale: quello della nube tossica di diossina fuoriuscita dalla vicina fabbrica chimica dell’Icmesa, a Meda.

Fratter ha curato per Legambiente anche i testi dei pannelli del progetto “Ponte della Memoria” collocati lungo il sentiero principale il Bosco delle Querce raccontandone la storia, ma ora ammette: “L’idea era di far sì che questo percorso creasse un ponte di pace per la comunità – spiega -. Ma non ha funzionato. Qui, per esempio – dice indicando uno dei cartelli conclusivi – ho scritto che dopo l’incidente la comunità non si disgregò. Ma non è vero: la realtà è che ognuno si è impegnato secondo le proprie capacità e all’interno del proprio gruppo di riferimento”.

Fratter, che nel 1976 aveva 6 anni, ricorda oggi una storia dove il personale si mescola con il collettivo: “Dietro al grande pioppo (l’unico albero rimasto in piedi dopo la bonifica, al momento della creazione del parco, ndr), dove ora c’è il campo delle farfalle, una volta c’era un campo di baseball: per almeno due anni la squadra ha giocato sempre in trasferta – ricorda -. Le storie delle persone cambiano: i miei hanno pensato di trasferirsi, anche se poi non lo hanno fatto, ma c’è chi ha dovuto davvero reinventarsi la vita. Ora, a 45 anni di distanza, è arrivato davvero il momento di celebrare il funerale dell’incidente: ogni anno lo ricordiamo, non è ancora stato fatto. Ma finché non farà i conti con la storia questa resterà una comunità infelice e rassegnata”.

Dopo la diossina la rinascita è possibile?

Eppure, paradossalmente, il territorio ha dimostrato che si può ricominciare a vivere. Dopo un evento così traumatico il Bosco delle Querce è davvero un simbolo di rinascita, un caso eccezionale che diventa un vanto per la comunità (“Non ci sono esempi al mondo di bonifiche così estese” ha sottolineato Gemma Beretta, di Legambiente): ed è proprio dal Bosco, e quindi metaforicamente dalla natura, che la comunità può imparare a staccarsi dall’evento e andare avanti, anche se questo volesse dire concedersi il diritto all’oblio. Oggi il Bosco è un luogo vivo e vissuto: una cosa impensabile anche solo 20 anni fa. Tanto che dopo la visita guidata e il dibattito ha ospitato anche il concerto dei Bandakadabra, con Musicamorfosi.

Contro la retorica della resilienza

Ma è vero che per molti il 10 luglio 1976 non è mai finito: anche Davide Biggi, del coordinamento NoPedemontana, si è mostrato concorde con questa visione nell’ambito di un incontro tenutosi sabato 10 luglio in piazza Confalonieri, con Nicoletta Poidimani ad analizzare il significato del disastro di Seveso vissuto dalle donne. “Nonostante la retorica della resilienza fatta negli ultimi anni, le recenti dimissioni del sindaco ci dimostrano che 45 anni dopo siamo ancora qui a fare i conti con la diossina – ha dichiarato Biggi -. Si è spesso parlato, retoricamente, di comunità come di corpo unico, in realtà non è mai stato così”.

Poidimani, che nel 1976 aveva 11 anni e abitava poco distante, a Barlassina, è convinta che Seveso abbia lasciato una pesante eredità (“Mia madre e mio padre sono morti di cancro, io stessa l’ho avuto 5 anni fa”), però mai affrontata: “Quando ci fu il 30ennale del disastro di Seveso rimasi molto colpita da un’omissione di tutta una parte di memoria, che lasciava da parte qualsiasi cosa potesse creare contrasto – racconta -. Io la chiamo “memoria discreta”, ed è una memoria fatta di censure“.

Ma la censura non è mai risolutiva. Lo racconta Stefania, che può dire di aver vissuto la diossina sulla propria pelle: il 10 luglio 1976 aveva 2 anni, stava giocando sul balcone e fu investita in pieno dalla nube tossica, che le provocò la cloracne, una dermatosi che è riuscita a superare solo da adulta, sottoponendosi a diverse chirurgie plastiche al viso. “I miei genitori erano giovani, li convissero a trasferirsi altrove per ricominciare, io penso volessero farci stare zitti – ricorda, intervenendo con visibile emozione a completare il racconto di Poidimani -. Ci siamo trasferiti a Treviso, dove ho dovuto sopportare gli sguardi di orrore di chiunque mi guardasse in faccia. Sono stata bullizzata per anni, ma quando vengo qui mi sento subito più capita”.

Ripartire dal Bosco delle Querce

Che si riparta dal Bosco, dunque, per cui oggi c’è una proposta di ampliamento, e da una memoria storica che accetti che la tragedia ci sia stata, ma anche che, dopo l’evento, molto altro sia successo. In questo senso si muove anche la proposta di Fratter: intitolare il centro visite del Bosco delle Querce a Laura Conti, la consigliera regionale che ai tempi del disastro di Seveso si spese in prima linea per la città, non con la curiosità morbosa di chi arriva sul luogo del delitto a vedere le vittime, ma con la concretezza e l’impegno di chi non ha paura di rimboccarsi le maniche e aiutare a ricostruire. Rimettendo al suo posto la retorica, come avrebbe fatto lei, con un “Senti, caro” alla volta.

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