Economia

Chi è la consigliera Parità e qual è il suo ruolo. Intervista ad Alessandra Ghezzi

La pandemia rischia di svantaggiate ancora di più il lavoro femminile. Quali sono adesso i maggiori rischi per le donne? Lo abbiamo chiesto alla consigliera di parità della Provincia di Monza e Brianza, Alessandra Ghezzi.

alessandra ghezzi mb

“C’è una data che chi opera nel mondo del lavoro guarda e teme: è il 31 marzo 2021, la data ad oggi indicata come quella dello sblocco dei licenziamenti. Il dialogo tra le parti potrebbe farla slittare di qualche settimana, attivando per ancora qualche tempo la cassa integrazione, ma alla fine i nodi verranno al pettine. E quando succederà temo per le donne“. Non nasconde la preoccupazione per l’anno alle porte Alessandra Ghezzi, consigliera di parità della provincia di Monza e Brianza.

Avvocatessa, classe 1974, tutti i giovedì pomeriggio riceve su appuntamento nella sede dell’ente le donne che vivono sulla propria pelle discriminazioni e ingiustizie sul posto di lavoro. E mai come oggi questo ruolo rischia di essere tristemente attuale: secondo l’ISTAT, infatti, il 98% delle persone che hanno perso il lavoro nel 2020 in Italia sono donne. Un dato molto preoccupante, già messo in luce dal CADOM di Monza, che rischia di avere serie ripercussioni sul tessuto sociale, economico e lavorativo del Paese.

Ma qual è la situazione in Brianza? A fare chiarezza è proprio la consigliera Ghezzi, che ha risposto ad alcune nostre domande.

Alessandra Ghezzi (seconda da destra) durante la firma del protocollo per le pari opportunità sui luoghi di lavoro (novembre 2019).

Prima di entrare nel merito, facciamo un passo indietro. In che cosa consiste il ruolo di consigliera di parità?
“Quello della consigliera di parità è un ruolo ben conosciuto dai tecnici, meno dalle persone comuni, quindi mi fa piacere fare chiarezza. Si tratta di una figura istituzionale che la legge istituisce a promozione e controllo dell’attuazione dei principi di uguaglianza, opportunità e non discriminazione nei luoghi di lavoro, pubblici e privati. Concretamente il mio ruolo è quello di incontrare le donne e capire come agire quando ci sono delle discriminazioni in base al genere. Il mio lavoro si arricchisce grazie ad una serie di stakeholder territoriali che mi conoscono e indirizzano le donne qui in Provincia. Senza di loro penso che parte del mio lavoro non sarebbe possibile nelle modalità attuali: insieme abbiamo costruito una rete forte e sana”.
Una rete composta da chi?
“Sindacati, associazioni di categoria, centri anti-violenza, associazioni di vario tipo diffuse sul territorio. Sono un ponte tra me e le donne, che spesso non sanno dell’esistenza di una consigliera di parità”.

Le donne del CADOM, centro aiuto donne maltrattate di Monza

I dati ci dicono che in periodo Covid sul terreno dell’occupazione le donne hanno pagato più degli uomini. In Brianza si conferma questo trend?
“Non abbiamo ancora i numeri precisi, li avremo tra qualche giorno. Posso dire, da quello che ho visto in quest’ultimo anno, che il lavoro femminile nella provincia di Monza e Brianza si è dimostrato particolarmente resiliente. Penso che quando avremo dati più certi verrà confermato comunque un gap importante tra perdita del lavoro femminile rispetto a quello maschile, ma immagino che la forbice sarà meno ampia rispetto al dato nazionale. Quello che mi preoccupa molto non è solo la quantità di lavoro perso, ma la qualità. Mi spiego meglio: temo che la paura di veder perso il posto di lavoro spingerà molte meno donne a denunciare discriminazioni, ingiustizie, trattamenti diseguali. Non perchè non ci siano, ma perchè si avrà paura di perdere il proprio impiego. Sarebbe un meccanismo di difesa anche comprensibile, ma rischiamo di tornare indietro su tante delle conquiste che abbiamo fatto”.
Quali sono le tipologie di donne che lei incontra nel suo ruolo di consigliera di parità?
“Incontro diversi tipi di donne, che hanno però un elemento in comune: vivono una discriminazione sul posto di lavoro in base al genere. Moltissime di loro sono donne che non sono messe nella condizione di conciliare maternità e lavoro. Ovviamente non per colpa loro, ma perchè l’ambiente lavorativo in cui operano le taglia fuori. Spesso si tratta di piccole ingiustizie anche difficili da percepire: un collega (uomo) a cui vengono date più responsabilità, viaggi di lavoro che non vengono proposti alla donna perchè “hai figli”, porte chiuse a priori “perchè devi tornare a casa”. E poi ci sono le donne vittime di molestie, più o meno gravi. Qui il terreno è molto scivoloso, soprattutto sulle molestie verbali”.
Che cosa intende di preciso?
“Commenti troppo “spinti”, frecciatine, doppi sensi fatti dagli uomini alle donne sul posto di lavoro: molti hanno difficoltà a capire che lì c’è una molestia. Non voglio generalizzare, ma in questi casi spesso l’uomo tende a sminuire, la donna a colpevolizzarsi. E’ qualcosa di sottile, spesso involontario, eppure che crea una mentalità difficile da sradicare”.
Come si sradica, a suo parere, questa mentalità?
“E’ difficile sradicare una mentalità così forte. Bisogna partire dalla basi a mio parere. Molte delle realtà a cui facevo riferimento prima fanno percorsi nelle scuole, con i giovani. E’ un passaggio importantissimo. E anche qui, però, non è così semplice provare a cambiare la mentalità. Il lavoro, ad esempio: spesso i giovani uomini hanno davanti un modello familiare, magari anche sano, dove però è il padre a portare i soldi a casa e la mamma fa la casalinga. Parlare con loro e raccontargli un altro modello altrettanto sano li spinge a rimettere un discussione le loro convinzioni e a fargli guardare le cose da un’altra prospettiva. Penso che non ci sia una strada giusta o una sbagliata e che non si possa fare di tutta l’erba un fascio. Si tratta però di permettere alle donne di fare delle scelte, in piena autonomia. Devo ammettere, però, che sono speranzosa verso le nuove generazioni: c’è un bell’attivismo di giovani donne che non va sottovalutato”.

Due manifestanti allo sciopero contro il clima di Fridays For Future Monza

Il suo lavoro di consiglierà di parità è cambiato durante la pandemia? Se sì, come?
“Più che ad essere cambiato il mio lavoro, sono cambiate le richieste delle donne. I numeri delle segnalazioni si sono abbassati drasticamente e questo non vuol dire che la Brianza è un’isola felice: è quello che le ho detto prima, si parla meno perché l’obiettivo è tenersi il lavoro, costi quel che costi. O almeno, questo è il mio timore adesso. Durante il lockdown sono arrivate richieste di informazioni, soprattutto: come devo muovermi su questo? ho diritto a quell’altro? il DPCM che cosa mi permette o impedisce di fare? ecc”.
Covid-19, donne e lavoro: quali sono i timori maggiori che ha? E le speranze?
“Temo nei passi indietro, nelle difficoltà nel segnalare ingiustizie e ho paura di quello che succederà con il via libera dei licenziamenti. Ancora una volta le donne rischiano di pagare un caro prezzo e fare i sacrifici più grandi. Temo i contratti, ad oggi sempre più flessibili, spesso a termine o part-time per le donne. E ho paura per quella generazione ad un passo dalla pensione che rischia di essere tagliata fuori dal mondo del lavoro senza che abbia raggiunto i requisiti per l’età pensionabile. E un tema che segnalo è anche quello della violenza di genere, legato a doppio filo con i problemi dell’occupazione: se non si ha un’indipendenza economica è ancora più difficile segnalare episodi di maltrattamenti. So che c’è molto da fare e forse questa è la sfida che mi dà speranza: c’è molto su cui lavorare e molto su cui presidiare. Io ci sono e so che c’è anche una bella rete di donne di spessore, qui a Monza e Brianza e non solo”.
[Foto nell’articolo appartengo all’era pre-covid19]
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