Cultura

Scienza e teologia si incontrano grazie a Fondazione Costruiamo il futuro. Ripartire dopo la Pandemia

Un incontro online organizzato da Fondazione Costruiamo il Futuro, per parlare su come affrontare gli effetti sociali causati dal Covid

costruiamo il futuro incontro

Fondazione Costruiamo il Futuro è andata in diretta streaming. L’obiettivo è stato quello di rispondere ad una complessa domanda di attualità: “Covid -19, si può vivere così?“.

Ospiti della serata sono stati Monsignor Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia – Guastalla e il professor Sergio Harari, direttore di pneumologia della clinica San Giuseppe di Milano. A fare da moderatore tra i due ospiti, durante la conferenza che si è tenuta ieri sera giovedì 17 dicembre,   è stato Maurizio Lupi, presidente della Fondazione.

Scienza e teologia. Innovazione e tradizione. Elementi all’apparenza distanti, ma fondamentali allo stesso modo per l’uomo, sono stati messi a confronto. Hanno tra loro parlato e comunicato. Hanno soprattutto c cercato di capire cosa stia accadendo o meglio, cosa ci stia accadendo.

L’emergenza sanitaria in corso, ormai da quasi un anno, sta condizionando il nostro modo di vivere. “Ed è per questo – concordando i due ospiti della Fondazione -, che noi tutti stiamo vivendo in una condizione surreale e quasi schizofrenica, divisi tra due sentimenti diversi“. Cosa si può fare, allora, a livello di società, intesa come coscienza civica? Cosa può invece fare la politica, anziché urlare e vestirsi da alfiere del popolo pronta all’incasso dei voti?
Sicuramente bisogna rivedere, rivalutare e ripensare, tutto un insieme di valori. Di principi. Di convinzioni. Qual è a questo punto il labile confine tra l’Io e la collettività. Tra la salute individuale e quella pubblica? Sono i principali interrogativi, che dalla Politica al singolo cittadino, si sono ripresentanti con maggiore insistenza. Si è visto, soprattutto in questa delicata fase. “Si tratta del resto di una vicenda che ci è piombata addosso all’improvviso. E in questa nube oscura – commenta monsignor Massimo Camisasca -, c’è stata un’oscillazione continua  tra speranze e cadute, che ha causato uno squilibrio tra le persone“.
Stress. Ansia. Paura, quella di perdere il lavoro soprattutto. Un insieme di squilibri che hanno causato un insieme di conflitti all’interno del proprio io e non pochi “danni” psicologici. Sia tra gli adulti sia tra i bambini costretti alla DAD, didattica a distanza. “In questo contesto – testimonia monsignor Massimo Camisasca – l’uomo, assistendo alla sconfitta della speranza, compie un ripiegamento su se stesso molto pericoloso“.
Ne consegue la rabbia.  la contestazione. L’assenza della solidarietà sociale e la paura dell’altro come untore – “Per avviare una ripartenza – spiega il chierico – dobbiamo riscoprire cosa è necessario e cosa invece è secondario. Necessario, sicuramente, è uscire da una visione idolatrica dell’Io“. In sostanza, secondo monsignor Massimo Camisasca, dal trionfo della globalizzazione e della tecnologia sarebbero emerse solo le potenzialità negative, che hanno portato l’uomo a concepire se stesso non come uomo, ma come super uomo. “Ciò di cui l’uomo ha bisogno – asserisce – è di tornare a considerarsi come creatura anziché creatore. Solo considerando le nostre potenzialità e allo stesso tempo i nostri limiti, possiamo crescere in un umanesimo vero“.
Un approccio molto teologico, il suo, quando la fede non può certo dare risposte sostituendosi alla medicina e alla scienza. Può tuttavia fornire un aiuto: bisogna in buona sostanza capire che un virus c’è ed un problema concreto. Bisogna iniziare a ragionare come collettività e anziché aver paura dell’altro, si rende necessario riconoscersi nell’altro. Provare empatia. Ragionare come un nucleo, nella consapevolezza che il mio vicino sta bene, ma soprattutto che è vivo, potrebbe rendere tutto più sopportabile.
Una visione più empirica la fornisce il professor Sergio Harari. Nel farlo, lui che è medico, quel famoso alfiere lo muove per fare scacco alla sanità nazionale e lombarda soprattutto. “Ho avuto l’impressione di una certa passività rispetto a quello che ci ha travolti. In questi mesi abbiamo tutti capito l’importanza della salute e le sue ripercussioni sulla salute”. Il sistema sanitario, per il professor Harari, deve essere ripensato, soprattutto dopo 40 anni dalla sua istituzione. “Dobbiamo – precisa – ripensare anche alle esigenze di salute, che sono totalmente cambiate rispetto a 40 anni fa“.
Harari, a questo punto, pone l’accento su un altro aspetto fondamentale: la formazione non capace di cogliere le sfide che alle nuove generazioni vengono sottoposte.
Quella di oggi è una società profondamente diversa, rispetto a quella di soli 10 anni fa. “Dobbiamo quindi pensare ad un new deal – spiega Harari -, ma non solo nei mesi che seguiranno a questo periodo”. Il sistema va cambiato, in modo definitivo.
Quando sicurezza e prevenzione sono dei cardini fondamentali per garantire il mondo del lavoro, il primo nodo da sciogliere è in primis quello dei traporti. Un tema, che con la ripresa di settembre, ha dimostrato tutte le sue criticità.
Fondamentale è poi ripensare a dei modelli organizzativi. “Essendo io vicino agli ospedali – testimonia Harari – penso a come dovremmo pianificare gli ospedali attraverso un modello completamente diverso rispetto a quello che abbiamo appreso. La struttura odierna, organizzata a monoblocchi, si è dimostrata inconciliabile alle esigenze di questa emergenza: la sua organizzazione non è facilmente riconvertibile e in caso di epidemia, questa diventa davvero difficile da contenere. Bisogna quindi iniziare a concepire delle modularità diverse“.
Le parole di monsignor Massimo Camisasca vengono in un qualche modo riprese. Si inseriscono nel solco di quanto il professor Harari delinea mediante un approccio medico-scientifico. E se monsignor Camisasca parla di una maggior coscienza collettiva, Harari spinge l’acceleratore sulla necessità di creare sinergie più forti tra mondo industriale e mondo sanitario. “Penso ad esempio al machine learning nell’ambito dell’intelligenza artificiale o a tutte quelle nuove sfide su cui possono per l’appunto esserci forti sinergie”.
La digitalizzazione è il cavallo di battaglia, che per Harari deve iniziare a svilupparsi – visto che il nostro Paese è ancora così indietro – proprio a partire dalla sanità. “In ambito sanitario c’è una grande messa in dati che potremmo sfruttare a livello di big data, garantendo quindi una migliore assistenza alla nostra popolazione”.
C’è la globalizzazione, che va ripensata con una visione più olistica e forse più umanistica: “Abbiamo visto – chiosa Harari – come ciò che è successo in Cina si è alla fine ripercosso in tutto il mondo”. Ma soprattutto, per Harari, ci sono due parole chiavi: innovazione e sostenibilità. “Quando per fare innovazione ci vogliono investimenti  – commenta Harari senza voler sollevare polemiche – non comprendo tutta questa resistenza all’apertura sul Mes, quando abbiamo visto che i fondi sanitari sono del tutto insufficienti a garantire quella modernizzazione di cui abbiamo indispensabile bisogno”. Un bisogno reale e concreto, soprattutto in Lombardia dopo la disastrosa riforma sanitaria, messa in atto da  Maroni, che come commenta il professor Harari, “Sembra  sia stata fatta senza una logica empirica”.
La sfida da cui ripartire, in conclusione, è che la classe politica “di cui il nostro Paese è in deficit” prenda coscienza delle reali necessità cogliendo sfide importanti. Come ad esempio quella di una più radicata medicina territoriale, ma soprattutto di modelli organizzativi più solidi.
 
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