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Nuovo Lockdown, i baristi de “Il Caffettino” di Arcore si incatenano: “Il lavoro porta dignità, non Covid”

La titolare del bar “Il Caffettino” di Arcore, insieme ai suoi dipendenti ha compiuto il simbolico gesto di incatenarsi davanti al locale per protesta.

Protesta bar Arcore (2)

Mercoledì 4 novembre, la titolare del bar “Il Caffettino” di Arcore, insieme ai suoi dipendenti ha compiuto il simbolico gesto di incatenarsi davanti al locale. Un’azione di protesta contro le disposizioni contenute nel nuovo Dpcm firmato da Giuseppe Conte, che entrerà in vigore da venerdì 6.

“Siamo caduti durante il primo lockdown, pagando anche debiti insostenibili per andare avanti” – spiega Lorena Leoni, la titolare –  “Abbiamo dipendenti fermi al pagamento della cassa integrazione di luglio. Anche loro hanno famiglia e diritto a uno stipendio”.

L’incubo di tornare a un nuovo lockdown è diventato realtà. Per le zone rosse infatti, tra cui anche la Lombardia, è prevista la chiusura di bar, ristoranti e caffetterie senza limite di tempo e orario. [Ecco chi può restare aperto]. Ogni 15 giorni ci sarà una revisione da parte del Governo, in base all’evolversi della situazione epidemiologica ma per il momento è stop. Per loro.

E la paura di non farcela, di non reggere questo secondo colpo, è tanta. Oggi i baristi del locale in Via Alessandro Manzoni hanno preparato dei cartelloni sui quali hanno trascritto alcune delle loro paure e richieste.

 

Lo sfogo

In un post su Facebook , è l’altro titolare de “Il Caffettino”, Graziano Meani, a  spiegare le motivazioni del gesto e a dar voce alla sua disperazione. “Abbiamo speso soldi per misure di sicurezza? Sì; Abbiamo adottato ogni misura di distanziamento? Sì; Ci siamo presi cura del personale e dei clienti? Sì; Ci siamo adeguati al primo Lockdown? Sì; Abbiamo perso i soldi? Sì; Il Lavoro porta dignità, non COVID.

Ancora oggi ci lasciano a casa distruggendo anni di lavoro e fatica. Purtroppo non siamo seduti su poltrone d’oro e una sola attività chiusa porta alla crisi finanziaria di tutti i dipendenti che cercano di lavorare per salvaguardare se stessi e soprattutto i propri figli. Le nostre parole non saranno ascoltate e le nostre mani sono legate.”

Articolo di Carlo Codini

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