Economia

Pubblici esercizi e Covid-19: intervista a Davide Resmini, responsabile Nord Italia CIFA

Davide Gianluigi Resmini interviene sulla delicata questione dei pubblici esercizi in periodo pandemia.

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Intervista a Davide Gianluigi Resmini, responsabile Nord Italia CIFA sulla delicata questione dei pubblici esercizi in periodo pandemia.

Uniterziario è la federazione di settore della grande famiglia CIFA che rappresenta le imprese del settore commercio, terziario, turismo, servizi e pubblici esercizi.

Uniterziario CIFA: come possono i pubblici esercizi sopravvivere alla pandemia?

In quanto associazione di categoria, credo sia un nostro preciso dovere, a maggior ragione in questa fase di emergenza nazionale, rappresentare e sostenere i nostri associati, in modo che le voci di tutti i singoli in difficoltà possano risuonare con forza, e non corrano il rischio di restare inascoltate.

In questo periodo, una delle categorie che più di tutte ha sofferto la chiusura forzata, al punto di vedere messo a rischio il futuro dell’intero settore, è quella dei pubblici esercizi, in particolare bar e ristoranti.

Si tratta di un settore fortemente identitario per il nostro paese, dove l’accoglienza, la ricerca del gusto e del buon cibo rappresentano senza dubbio una parte fondamentale della nostra cultura, oltre che della nostra economia. Nelle ultime settimane stiamo raccogliendo migliaia di richieste di aiuto da parte dei nostri associati del settore, in particolare in Lombardia, e nelle regioni del nord, fortemente colpite dal virus, che invocano da parte delle istituzioni indicazioni chiare, condizioni di riapertura sostenibili, e interventi strutturali decisivi, in modo da consentire al comparto di sopravvivere.

Come pensate di muovervi?

La priorità deve essere la tutela e la salvaguardia della salute, ma non è possibile immaginare una fase di ripresa in cui i fattori di rischio e incertezza siano tutti a carico delle imprese, senza una guida e un sostegno reali da parte delle istituzioni. Negli ultimi giorni abbiamo potuto leggere ed analizzare i contenuti del tanto atteso decreto rilancio (pur essendo ancora in attesa della formulazione ufficiale), e delle linee guida per le riaperture diffuse dalla conferenza stato-regioni.

La sensazione a caldo è quella di aver a che fare, pur in presenza di timidi miglioramenti rispetto alle prime indiscrezioni, con un “brodino”, che non avrà certamente la capacità di rinvigorire il settore, e dare un forte impulso alla ripartenza.

E nella pratica?

La nostra proposta per la riapertura dei pubblici esercizi passa da due componenti parallele, ed egualmente importanti, una di natura tecnico-politica ed una emotiva.

Partiamo dalla politica.

Dal punto di vista politico, dopo l’analisi dei documenti prodotti dalle istituzioni, penso si possa principalmente lamentare una sostanziale mancanza di visione d’insieme. I provvedimenti sembrano tanti tentativi slegati di mettere delle “pezze”, ma mai all’interno di un progetto coerente e di prospettiva.

Il popolo dei pubblici esercizi non vuole regali, ma ha un bisogno vitale di supportato il proprio desiderio di rimboccarsi le maniche, e ricominciare, con spirito di speranza.

E’ inutile, ad esempio, promettere aiuti a fondo perduto, in un cervellotico circuito che non li vedrà disponibili prima di 3 o 4 mesi, e nel contempo renderli inaccessibili per chi avrà percepito i tanto decantati bonus da 600 euro.

Occorrerebbe, invece, un serio piano di medio termine (di almeno 6 o 8 mesi) che abbracci la fiscalità, i tributi, la gestione del personale, i costi diretti e indiretti, con la finalità di rendere sostenibile la riapertura.

Non credo si possa discutere sul fatto che, per chiedere alle imprese del settore di riprendere l’attività ben al di sotto del 50% del ritmo di lavoro abituale, sarebbe necessario operare una riduzione strutturalmente proporzionale dei costi di gestione, che consenta all’imprenditore di suddividere il nuovo rischio d’impresa con lo Stato, che gli impone le restrizioni per la tutela sanitaria.

Sarà necessario abbattere in modo importante imposte, tributi e oneri nazionali e locali, rendendo queste voci proporzionali alle opportunità di incasso.

Dal punto di vista del personale, l’obiettivo comune deve essere quello del massimo mantenimento possibile dei livelli occupazionali. Non possiamo permetterci, una volta che il paese sarà tornato in condizioni pseudo-ordinarie, di ritrovarci con livelli di disoccupazione insostenibili per l’economia reale dei consumi.

Non sarà minimamente sufficiente la proroga “dimezzata” degli ammortizzatori sociali contenuta nel decreto rilancio, a maggior ragione se non sarà affiancata di un forte sconto sulla contribuzione. Se vogliamo chiedere alle imprese di mantenere l’occupazione, impedendo i licenziamenti, dobbiamo poter garantire la costante presenza, per tutto il periodo di vigenza delle restrizioni, degli ammortizzatori sociali.

Un’altra componente determinante su cui intervenire è legata ai costi di gestione dell’esercizio: affitti, mutui, utenze e noleggi di attrezzature. Non basta il credito di imposta, bisogna costruire accordi quadro con i fornitori, gli istituti di credito, i proprietari deli immobili per consentire di abbattere immediatamente l’impatto di queste voci sul bilancio reale degli esercenti.

Ma se tutto questo non avvenisse?

Voglio essere molto chiaro: la nostra attività in diretto contatto con migliaia di esercenti del settore, ci porta a sostenere con un buon grado di certezza che, in assenza di un intervento strutturale di portata superiore a quanto fatto fino ad ora, sono a rischio diverse centinaia di migliaia di posti di lavoro.

E per la componente diciamo così “emozionale”?

Bisogna anche considerare che, accanto alle dimensioni economiche e finanziarie, vanno ricostruite le condizioni emotive che permettano alla nazione intera di sostenere la ripresa. Oggi viviamo in uno stato di totale incertezza e sfiducia nel futuro. Tutte le componenti sociali del paese sono fortemente minate nella propria fiducia nei confronti delle istituzioni.

Pensiamo ai dipendenti, che per la maggior parte non hanno ancora ricevuto le spettanze della cassa integrazione, oppure agli autonomi che hanno aspettato quasi due mesi per ricevere il bonus da 600 euro, o che in alcuni casi, ancora sono in attesa.

Tristemente, abbiamo constatato che nemmeno le risultanze dei prestiti agevolati a garanzia totale dello stato portano buone notizie. La maggior parte delle pmi non ha avuto alcune facilità nell’accesso al credito, soffocate in un marasma di scartoffie e documenti che fanno presagire un triste nulla di fatto.

La cosa che vorrei far rilevare con forza è che le medesime misure, erogate e gestite con modalità più chiare ed efficienti, avrebbero contribuito a creare un clima di fiducia molto più importante da parte di tutti, e saremmo stati mentalmente molto più pronti e speranzosi rispetto alla possibilità della riapertura e nel sostenere direttamente la ripresa.

In conclusione?

Avvicinandoci alla fase che dovrà essere di rinascita per l’economia del paese, mi sento di fare un appello a tutti gli attori della politica e della comunicazione: smettiamo di parlare delle professioni come necessarie o non necessarie. Ogni lecita professione è sacra e indispensabile, perché consente il sostentamento e il benessere di chi la svolge.

Come associazione di rappresentanza datoriale stiamo mettendo in atto una serie di importanti iniziative per sostenere i nostri associati in questo momento, così difficile e cruciale.

Presenteremo, in dialogo diretto con le Regioni e i Comuni, una serie di proposte concrete, costruite nel confronto continuo con gli imprenditori, e sostenute dalla loro voglia di lottare.

Partendo dalla Lombardia, proporremmo contrattazioni territoriali a cui potranno aderire tutti i nostri associati, e metteremo così a loro disposizione tutti gli strumenti più moderni e flessibili per sostenere la gestione del personale in questa fase così critica e delicata, con l’obiettivo finale di garantire il mantenimento, sostenibile, dei livelli occupazionali.

Il nostro invito a tutte le imprese che in questo momento non si sentono rappresentate è quello di contattarci e portarci il loro punto di vista. Scriveteci pure alla mail servizi@cifaitalia.info, saremo ben lieti di ascoltarvi e darvi tutto il supporto possibile.

A partire dalle tematiche più ad ampio respiro, per finire con tutti i piccoli problemi pratici da affrontare giorno per giorno, non lasceremo che nessuno dei nostri associati si senta mai solo in questa battaglia senza quartiere, perchè oggi è in gioco la sopravvivenza del nostro sistema paese, e non l’interesse particolare del singolo.

 

Uniterziario Cifa: liberi per scelta, autonomi per vocazione, sempre al fianco delle imprese italiane.

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