Economia

Coronavirus, falsa ripartenza: Confimi Monza e Brianza fotografa la crisi delle Pmi

Da un'indagine nazionale su un campione di 1000 aziende, di cui 180 brianzole, emerge che dopo il lockdown la produzione non riparte. Burocrazia e mancanza di liquidità i problemi principali.

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Il lockdown sembra un ricordo sempre più lontano. Anche se le prime riaperture risalgono solo al 4 maggio. Ma, come dimostrano i dati e le immagini di questi ultimi giorni, non basta sostituire un termine inglese fin troppo abusato nel periodo più acuto della pandemia Covid-19 con la più tranquillizzante espressione Fase 2, termine dal sapore decisamente tecnico, per risollevare improvvisamente l’economia così duramente colpita.

Infatti non è quello che sta succedendo. A dirlo, se ancora si aveva qualche dubbio dopo le tante saracinesche ancora abbassate e i negozi quasi vuoti, è anche un’indagine di Confimi (Confederazione dell’Industria manifatturiera italiana e dell’impresa privata). Che, a una settimana dalla riapertura dopo i mesi del lockdown, ha intervistato un campione di 1000 aziende italiane. Il 45% sono metalmeccaniche e il 55% non superano i 3 milioni di euro del fatturato. Insomma si tratta di Pmi, vera ossatura del sistema economico italiano. Compreso quello di Monza e della Brianza.

L’INDAGINE

Produzione che non riparte, impianti fermi, mancanza di liquidità, eccessiva burocrazia e ampio ricorso agli ammortizzatori sociali sono gli elementi più evidenti e preoccupanti dell’analisi di Confimi Industria. Oltre il 60% delle imprese intervistate non ha registrato nuovi ordinativi. Anche perché ha un terzo dei propri clienti ancora chiuso per decreto.

Ci sono settori che sono stati chiusi totalmente per un tempo davvero lungo ed ora ci vorrà pazienza per far ripartire tutto il meccanismo – afferma il Direttore di Confimi Monza e Brianza, Edoardo Ranzini (nella foto in alto) – c’è molta preoccupazione soprattutto per i comparti del turismo e del commercio, mentre anche per chi se la può cavare meglio in questo momento, è comunque un navigare a vista”.

La mancanza di liquidità per la maggior parte delle imprese in difficoltà è il tasto più dolente di questo inizio di ripresa. Non a caso l’indagine condotta dall’associazione imprenditoriale ha riscontrato che il 42% degli intervistati è ricorso agli istituti di credito e un terzo del campione ha contattato le banche per via degli insoluti di mancati pagamenti.

Se a questo si aggiunge che il 54% degli imprenditori ha dichiarato di aver fatto ricorso alle misure previste dal governo, ma solo il 3% ha ricevuto il credito richiesto, si può comprendere la gravità della situazione. “Le aziende che hanno realmente nella disponibilità linee di fondi approvati sono davvero poche – sostiene Ranzini – le banche devono ancora occuparsi di tonnellate di moratorie e sospensione di mutui oltre a tantissime pratiche per prestiti fino a 25mila euro”.

LA BUROCRAZIA

In Italia, un Paese considerato malato cronico di burocrazia, con il Coronavirus, uno tsunami sanitario, economico e sociale, le cose non potevano che peggiorare anche su questo fronte. E non può stupire, allora, che, secondo l’indagine di Confimi Industria, per 1 imprenditore su 3 il primo problema con gli istituti di credito è legato proprio alla burocrazia e ai suoi tempi.

Viviamo in un sistema per certi versi ancora molto arcaico in cui le inefficienze, finché va tutto bene, vengono messe in conto e fanno parte dei costi, ma in un periodo come questo diventano difficilmente tollerabili” sostiene il Direttore della territoriale brianzola dell’associazione imprenditoriale, che a livello nazionale riunisce 40mila aziende, con circa 500 mila addetti e un fatturato aggregato di circa 80 miliardi di euro annui.

Non si è riusciti ad evitare nemmeno ora, ad esempio, la consultazione sindacale per la cassa integrazione quando dovrebbe essere automatica di fronte ad una chiusura dell’attività – continua – insomma non abbiamo fatto molti passi avanti verso la sburocratizzazione, eppure sono passati quasi 20 anni da quando l’ex ministro per l’innovazione e le tecnologie, Lucio Stanca, parlava di rivoluzione digitale”.

Se qualcuno pensa che la situazione delle imprese possa essere migliore a Monza e in Brianza, meglio abbandonare false speranze. Il campione dell’indagine di Confimi Industria, che ha sottolineato anche le difficoltà delle aziende nel reperire i dispositivi individuali di protezione e gli ingenti investimenti sostenuti per adeguare spazi e organizzare la logistica, è assolutamente rappresentativo anche del nostro territorio.

Delle mille aziende del campione, circa 180 sono nominativi di Monza, della Brianza e di Bergamo – chiarisce Ranzini – direi, quindi, che i dati riscontrati a livello nazionale sono in linea con i valori locali. Continueremo a fotografare in maniera periodica l’evolversi di una situazione così caratterizzata dall’incertezza”.

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