Monza, Terapia Intensiva Cardiochirurgica: al San Gerardo una perla della sanità lombarda

L'utilizzo del defibrillatore è spesso il primo passo per sopravvivere a un arresto cardiaco.

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E’ un reparto che solo a nominarlo tremano le gambe. Un reparto dove vita e morte convivono in un equilibrio in bilico tra destino o fede (a seconda di chi è credente o meno) e dove le uniche certezze sono le competenze sanitarie di chi ci lavora. La Terapia Intensiva cardiochirurgica del San Gerardo di Monza è un luogo intimo, nonostante le luci al neon, nonostante i bip dei macchinari e nonostante i rumori delle pompe. E’ un luogo raccolto in cui le famiglie dei pazienti hanno un ruolo ben definito e preciso. Possono entrare in reparto otto ore al giorno. E nel pomeriggio sono lì puntuali, dalle 14 alle 22 a tenere la mano dei loro cari, a raccontare ricordi, a piangere ma anche a sorridere davanti ai primi segni di un miglioramento. Il personale medico ogni giorno alle 13.30 aggiorna i famigliari sullo stato di salute del paziente ricoverato. Un appuntamento quotidiano che per le famiglie in bilico in queste situazioni così delicate, è aria fresca e che in altri reparti altrettanto delicati è quasi un miraggio.

I posti letto sono otto in totale. A coordinare il gruppo dei 25  giovani infermieri (l’età media è di 30 anni) è Stefano Vismara, 40 anni. “Abbiamo aperto le porte della terapia intensiva ai famigliari dieci anni fa – ha spiegato Vismara-. E questo ha portato un beneficio enorme soprattutto ai pazienti coscienti perché il processo di guarigione migliora e diventa più rapido proprio grazie alla presenza di parenti e amici stretti. Un beneficio è evidente anche per i famigliari che vivendo il reparto insieme ai pazienti entrano a contatto con il nostro lavoro quotidiano, sono costantemente aggiornati sugli sviluppi del percorso di degenza e, anzi, ne entrano a far parte in modo concreto. Con loro  il personale di reparto sviluppa un rapporto stretto, intimo e spesso, una volta concluso il percorso di degenza in Terapia Intensiva, tornano a trovarci. Molte volte fatichiamo a ricordare il paziente mentre riconosciamo subito i suoi famigliari con cui abbiamo condiviso momenti delicati”.

Un reparto in cui il dolore convive con la speranza e in cui nella frazione di un secondo gli occhi si possono chiudere per sempre o la vita può riprendere a scorrere anche più forte di prima. All’ospedale San Gerardo ci sono tre Terapie Intensive (Cardiochirurgica, generale e neurochirurgica) e la terapia intensiva neonatale della Fondazione MB per il Bambino e la sua Mamma.

Il percorso del paziente della terapia intensiva cardiochirirgica spesso parte da una telefonata. Quella di un passante o di un parente che vede un famigliare o un semplice sconosciuto accasciarsi a terra dopo un arresto cardiaco. “Dopo la telefonata al 112 – ha spiegato Vismara- l’operatore guida la persona al telefono nelle prime manovre salvavita come il massaggio cardiaco e l’utilizzo del defibrillatore“. Questo strumento, che a Monza è sempre più reperibile grazie al sostegno di Brianza Per il Cuore, è stato in grado in diverse occasioni di dare una chance in più a persone con un arresto cardiaco (clicca qui). Una volta trasportato dall’ambulanza in ospedale si attivano i protocolli di routine per il paziente.

Al San Gerardo, inoltre, c’è la possibilità di avere una chance di intervento in più (circa 30 persone l’anno con un’età media di 55 anni) grazie alla presenza dell’ECMO. Una sorta di cuore artificiale in grado di filtrare il sangue ossigenandolo e rimettendolo nel corpo sostituendosi di fatto al cuore per il tempo necessario ai sanitari per stabilizzare la situazione magari con una terapia farmacologica. In Lombardia sono solo cinque gli ospedali in grado di mettere in campo anche questa opportunità medica.

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