Vimercate, dipendenze in aumento: nel mirino fumo e gioco d’azzardo

Aumenta il numero delle persone che si rivolgono ai servizi per le dipendenze dell’ASST di Vimercate, mentre a livello nazionale il trend preoccupa meno. Cosa sta realmente accadendo? Ce lo spiega il Dott. Biagio Tinghino.
Per il Dott. Biagio Tinghino, responsabile dell’Unità Operativa Alcologia e Nuove Dipendenze e dell’Osservatorio Dipendenze – è evidente che l’incremento di utenti è determinato dalla riorganizzazione dei servizi, dopo la riforma sanitaria del 2015. E’ aumentata l’offerta, si è specializzata, sono state investite energie per promuovere e far conoscere i nuovi progetti, e i cittadini ne stanno beneficiando’. Ma chi è che cade nel tunnel delle dipendenze? Che differenze ci sono tra le droghe ‘tradizionali’ e il gioco d’azzardo ad esempio? E l’alcol che ruolo svolge in questo scenario? MbNews lo ha domandato al Dott. Biagio Tinghino.
Qual è l’età media del giocatore d’azzardo, del tabagista e dell’alcolista? E’ possibile definire uno ‘status sociale comune’ per i soggetti appartenenti a ognuna di queste categorie?
‘Si gioca a tutte le età. Alcuni studi ci dicono che addirittura molti adolescenti iniziano a giocare precocemente, tanto che impegnano i soldi della paghetta o dell’autobus per acquistare “Gratta e Vinci” o partecipare ad altre scommesse. Il fenomeno, però, arriva all’attenzione dei servizi quando i danni economici si fanno evidenti o – spesso – quando un parente si accorge che sono stati sottratti soldi dal conto corrente o dall’uso destinato ai bisogni della famiglia. Spesso sono necessari decenni prima di attraversare le fasi del semplice gioco sociale, e poi del gioco problematico, per arrivare al gioco patologico. Ci sono due gruppi di età più frequentemente rappresentati, cittadini tra i 35-55 anni e over 65, ossia pensionati’.
A livello socio-psicologico cosa spinge gli individui a tali dipendenze? Nello specifico, ha una rilevanza la pressione mediatica legata al gioco d’azzardo?
‘La diffusione e la pubblicizzazione dei giochi e delle scommesse hanno incrementato sia il numero di giocatori che delle scommesse. Si pensi che ogni anno entrano nel buco nero delle scommesse 107 miliardi di euro (dati 2018), di cui persi “formalmente” circa 19 miliardi. Il resto dovrebbe essere restituito al giocatore sotto forma di vincite (meno ovviamente di quello che ha investito). La realtà è che chi gioca perde molto di più. Le vincite, infatti, sono frequentemente distribuite in piccoli tagli (5-10 euro). Questo fa sì che il giocatore sia spinto a reinvestire subito tali piccole somme continuando a giocare e perciò, di fatto, aumentando le perdite. Alcuni individui sono più vulnerabili di altri, sicuramente. Gli studi ci dicono che ci sono persone che “utilizzano” le scommesse per lenire senso di ansia, solitudine, umore deflesso. Altri, invece, sono spinti da un bisogno compulsivo di avere stimolazioni, adrenalina, confrontarsi col rischio. Sono categorie diverse, che richiedono talvolta approcci diversi, anche se i sintomi apparentemente sono uguali’.
Cosa intende per ‘nuove forme comportamentali’?
‘Da alcuni anni, ormai, si sa che le dipendenze non sono solamente quelle causate da sostanze psicotrope come le droghe o l’alcol. Esistono comportamenti additivi (da “addiction”= dipendenza), ossia pratiche che – per motivi complessi – comportano un rischio maggiore di catturare l’attenzione delle persone più vulnerabili e far perdere loro il controllo, il driving. Sono comportamenti che, nella maggior parte delle persone ed entro certi limiti, non sono necessariamente patologici. Per questo motivo si comincia a porre attenzione verso la sex-addiction, lo shopping compulsivo, la food-addiction (discontrollo dell’uso del cibo come dipendenza e non come semplice comportamento psicologico)’.
Qual è la fondamentale differenza tra queste forme di dipendenza e quella dalle droghe pesanti, come l’eroina? Quali gli esiti a lungo termine, non soltanto dal punto di vista clinico?
‘Le differenze sono più formali, spesso legate alla legislazione, che ai meccanismi neurochimici di base, che invece si somigliano. Sostanze legali come la nicotina e l’alcol hanno un effetto assolutamente paragonabile, da questo punto di vista, a quello della cocaina o delle amfetamine. Le scoperte degli ultimi anni – soprattutto gli studi di neuroimaging – ci mostrano che le aree cerebrali interessate e attivate dai comportamenti additivi (es. gioco) o dalla nicotina sono identiche a quelle dell’eroina o della cocaina. Gli esiti sono variabili e dipendono dal fatto che le persone siano in grado di chiedere aiuto, arrivino ai servizi, dalle competenze che hanno (life skills), da quanto si mettono in gioco, ma anche da quanto l’ambiente attorno a loro riesce ad aiutarli o è esso stesso un fattore di rischio. I nostri servizi aiutano tutti, in rapporto alle loro capacità. Molti smettono e ricominciano a camminare sulle proprie gambe, ma per altri può considerarsi un ottimo traguardo la stabilizzazione, magari con un aggancio permanente agli operatori che forniscono sostegno. Le dipendenze vanno considerate a tutti gli effetti delle malattie croniche e recidivanti’.
L’alcol è un ‘nemico silente’: sarebbe opportuna ed efficace una massiccia campagna informativa sugli effetti nocivi legati all’abuso? Perché se ne parla così poco rispetto ai rischi connessi al fumo?
‘L’abuso di alcol è un tema che ci preoccupa, proprio perché non si è riusciti a far passare lo stesso messaggio di pericolosità rispetto al tabacco. Le bevande alcoliche fanno parte della cultura gastronomica, sempre più eventi sono centrati – per esempio – sul vino, senza considerare che una grande fetta di fatturato nazionale è basato sull’industria vitivinicola. Mentre per il fumo è chiaro a tutti che non esiste l’uso moderato, quando si affronta questo tema per l’alcol si entra in discussioni infinite. Non che per gli esperti il limite non sia chiaro. E’ recente lo studio che mostrava (ma lo si sapeva già) che i 100 grammi di etanolo la settimana costituiscono lo spartiacque oltre il quale si ha evidenza di danno fisico. Si tratta di una quantità paragonabile a circa 800-900 ml di vino la settimana, cioè 5-6 bicchieri. Un consumo inferiore sembra avere effetti protettivi sul sistema cardiovascolare. Ma l’OMS è chiara: nessuno dovrebbe iniziare a bere alcolici per sfruttare questo effetto protettivo, che invece può essere ottenuto col consumo di frutta, verdura e succhi di frutta’.
‘La preoccupazione è molto alta anche a causa delle abbuffate occasionali (binge drinking), ossia dall’abuso saltuario ma intenso (5 o più drink) e concentrato nel tempo, come succede ai giovani il sabato sera, in discoteca. Si ha l’idea di non essere “dipendenti” dall’alcol, ma gli effetti sono pericolosissimi. Serve meno ambiguità nei messaggi mediatici e forse servirebbe ricordare come non esistono solo i benefici del bere moderato. Ai ragazzi si deve ricordare che il cervello non ha bisogno di “protesi”, sostanze artificiali che lo facciano stare meglio. Si può essere in gamba, simpatici e interessanti più da sobri che da bevuti‘.
Scenario futuro: che ruolo avranno il gioco d’azzardo, il tabagismo e l’alcolismo rispetto alla dipendenza da droghe pesanti?
‘E’ difficile dirlo. Ma il mercato sta cambiando. Le droghe tradizionali sono sostituite sempre di più da quelle “nuove” e di sintesi (mediamente vengono immesse in commercio dai trafficanti una cinquantina ogni anno). Il gioco d’azzardo si sta spostando verso le forme online, difficilmente controllabili. L’alcol preoccupa soprattutto per la diffusione tra i giovani e per gli abusi occasionali. L’uso di tabacco sta anch’esso cambiando: le multinazionali (in Occidente) stanno puntando verso i prodotti a “rischio ridotto” (sigarette elettroniche, tabacco riscaldato con nuovi dispositivi). Ma si tratta di strategie per non perdere il mercato che la lotta al tabagismo stava loro sottraendo. In questo modo i consumatori che pensano di smettere sono invece attratti dalle nuove forme di consumo, che comunque contengono nicotina, e perciò assicurano il mantenimento della dipendenza. In realtà non si tratta né di prodotti sicuri né di una vera alternativa alla cessazione dal fumo. Fumo che rimane – lo ricordiamo – la prima causa di morte evitabile nei paesi occidentali’.