Economia

Licenziamenti illegittimi, Cgil MB: “Con sentenza Consulta risarcimento più adeguato”

La Corte Costituzionale ha giudicato inadeguato il meccanismo di quantificazione degli indennizzi. Il sindacato approva, ma chiede più proporzionalità della sanzione e la reintegra del lavoratore.

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E’ uno dei lasciti del Governo Renzi e della sua Riforma del Lavoro, meglio conosciuta come Jobs Act. Poi il contratto a tutele crescenti ha subito le modifiche introdotte dal Decreto Dignità, una delle bandiere del Movimento 5 Stelle e del suo leader, il vicepremier e Ministro dello Sviluppo economico, del Lavoro e delle Politiche sociali, Luigi Di Maio.

In entrambi i casi, però, non è cambiato nella sostanza l’impianto originario del contratto a tutele crescenti. In particolare, anche se i limiti di indennizzo previsti dalla norma come risarcimento per i licenziamenti ingiustificati sono stati aumentati con il Decreto Dignità, non ci sono state novità sulla possibilità di reintegra del lavoratore, che resta molto difficile e sul meccanismo per la determinazione dell’indennizzo spettante al lavoratore, legato sempre all’anzianità di servizio.

Ora, però, come più volte è accaduto nella storia italiana, è una sentenza della Corte Costituzionale, la n. 194 del settembre 2018, a mischiare le carte in tavola. La Consulta, dopo una serie di sforzi prodotti dai giuristi e dagli uffici vertenze della Cgil,  si è pronunciata, infatti, sull’ordinanza di remissione del Tribunale di Roma nel corso di  un giudizio promosso da una lavoratrice iscritta alla Filcams.

E, in merito a diversi profili di incostituzionalità delle norme contenute nel D.Lgs. 23/2015, il Jobs Act appunto, ha giudicato inadeguato il meccanismo di quantificazione dell’indennizzo contenuto nell’art. 3 , comma 1, del provvedimento. Arrivando a dichiararlo incostituzionale nelle parole “di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”.

La sentenza della Corte, che non è intervenuta, invece, sulla sollevata violazione del principio di eguaglianza-ragionevolezza, va ad incidere sul ristoro del pregiudizio causato dal licenziamento illegittimo e sulla funzione dissuasiva nei confronti del datore di lavoro. “Con la sentenza della Corte si rende impossibile per il datore di lavoro quantificare con esattezza ex ante il costo del licenziamento entro i limiti, previsti ora, dopo l’emanazione del Decreto dignità, nella soglia minima di 6 e massima di 36 mensilità dell’ultima retribuzione utile per il computo del trattamento di fine rapporto” spiega Giovanna Piccoli, Responsabile dell’Ufficio vertenze della Cgil Monza e Brianza.

“La sentenza della Corte Costituzionale rappresenta, quindi, un cambio di rotta importante in quanto ridà valore al lavoro e riafferma il diritto del lavoratore a vedersi riconosciuto un risarcimento adeguato al danno subito – continua – nello stesso tempo, costituisce un valido deterrente contro i licenziamenti ingiustificati, correggendo lo squilibrio di potere tra lavoratore e datore di lavoro determinato dalla disciplina del contratto a tutele crescenti”.

Nello specifico, infatti, la Consulta ha stabilito che “…….il giudice terrà conto innanzi tutto dell’anzianità di servizio…nonché degli altri criteri ……desumibili in chiave sistematica dalla evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica,  comportamento e le condizioni delle parti)”.

L’intervento della Corte del settembre 2018 arriva a pochi mesi di distanza da un’altra sentenza, quella dell’aprile dello scorso anno, in materia di spese processuali (qui l’articolo), con la quale è diventato meno rischioso per il lavoratore fare vertenza alla propria azienda, evitandogli il timore della condanna alle spese in caso di soccombenza. Non tutto, però, è a posto su questo fronte del diritto del lavoro.

“Restano irrisolti molti nodi, tra i quali quanto previsto per i licenziamenti disciplinari, dove il contratto a tutele crescenti esclude la possibilità per il giudice di valutare la proporzionalità della sanzione (il licenziamento) rispetto alla gravità dell’infrazione addebitata al lavoratore – afferma la Responsabile dell’Ufficio vertenze della Cgil Monza e Brianza – inoltre non è stata affrontata l’assenza di reintegra per i licenziamenti ingiustificati, tema sul quale la Cgil proseguirà, comunque, la propria azione perché considera questo punto un irrinunciabile principio di civiltà”.

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