Attualità

Marcia PerugiAssisi: Cisl Monza e Brianza a favore del disarmo nucleare

Il sindacato di via Dante Alighieri ha organizzato un dibattito sul tema in vista della manifestazione del 7 ottobre in Umbria. L'abolizione delle bombe è un obiettivo ancora lontano e complesso.

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Monza porterà anche il complesso tema del disarmo nucleare alla Marcia PerugiAssisi della pace e della fraternità, in programma il prossimo 7 ottobre. Alla storica manifestazione del Movimento pacifista italiano, che lungo un percorso di 24 chilometri riunirà migliaia di persone, gruppi, scuole, associazioni ed Enti locali intorno allo slogan “Tu puoi cambiare le cose”, parteciperà, infatti, anche una rappresentanza della Cisl Monza Brianza Lecco. Che sta organizzando, come già avvenuto in passato, un pullman che dalla Brianza porterà in Umbria studenti, disoccupati e lavoratori.

Con l’obiettivo fondamentale di far emergere, agli occhi delle istituzioni e dell’opinione pubblica, quanto lottare per un futuro senza atomiche significhi contribuire all’esistenza stessa dell’umanità. E, naturalmente, interessi da vicino anche l’Italia. Dove, seppure il nostro Paese non possieda armi nucleari, ancora oggi ci sono circa 70 testate atomiche nella basi americane di Ghedi, in provincia di Brescia e Aviano, in provincia di Pordenone. Luoghi lontani non molti chilometri dal nostro territorio. Così, proprio per prepararsi alla Marcia PerugiAssisi, la Cisl Monza Brianza Lecco ha organizzato nella Sala Picasso dell’Urban Center il convegno “No Nukes! Sì al disarmo nucleare”. Come spiega ad MBNews Mirco Scaccabarozzi, segretario generale del sindacato di via Dante Alighieri.

Fermare la corsa agli armamenti è un imperativo che ha una storia ormai lunga più di 70 anni. Se ne cominciò a parlare, infatti, subito dopo le bombe di Hiroshima e Nagasaki dell’agosto del 1945. Proprio quell’anno nacque l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), che nella sua prima risoluzione sottolineò la necessità di avviare un percorso per mettere al bando le armi nucleari. Si arriva, poi, al 1970, anno dell’entrata in vigore del Trattato di Non-Proliferazione. Che, nonostante la grande adesione internazionale e i precisi obblighi per gli Stati militarmente nucleari e per quelli non-nucleari, non ha raggiunto il disarmo. Anzi, oggi ci sono nel mondo oltre 15mila testate nucleari attive, possedute 9 Paesi. Usa e Russia ne hanno il 90 per cento, ma nell’elenco ci sono anche Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord.

Inoltre cinque Stati europei, tra cui l’Italia, ospitano armi nucleari Usa sul proprio territorio in base ad accordi legati alla Nato. Senza contare che esistono, in giro per il mondo, reattori nucleari civili, per la ricerca o la produzione di energia, che, grazie alle crescenti conoscenze tecnologiche, potrebbero essere modificati per la produzione di armi. Tutto questo, secondo molti esponenti del dibattito sul disarmo e le conclusioni di diverse Conferenze di Riesame del Trattato di Non-Proliferazione, minaccia la sicurezza umana ed espone tutti a conseguenze talmente catastrofiche che niente e nessuno è in grado di porvi rimedio.

Ecco perché non meraviglia che recentemente il tema sia tornato d’attualità. Nel 2017, infatti, l’Ican (Campagna internazionale per la messa al bando delle armi nucleari), lanciata nel 2007 per esercitare pressioni sui governi per aprire negoziati ed arrivare ad un trattato, ha vinto il Premio Nobel per la Pace. Un riconoscimento importante per chi, con il coinvolgimento di 468 organizzazioni operanti in 101 Paesi, aveva contribuito nel luglio dell’anno scorso a far approvare all’Assemblea generale dell’Onu il Trattato di messa al bando delle armi nucleari. Un risultato, però, ancora monco. Perché, per entrare il vigore, il Trattato ha bisogno della ratifica di almeno 50 Stati. Obiettivo ancora molto lontano. Tanto più per l’Italia. Che l’anno scorso non ha nemmeno partecipato al voto dell’Onu.

“Nei mesi scorsi abbiamo dato vita alla Campagna ‘#Italia, ripensaci’ – spiega Lisa Clark, rappresentante di Ican Italia e attivista della Rete sul Disarmo atomico – abbiamo raccolte le firme di sostegno di 31mila cittadini italiani e fatto approvare risoluzioni sull’argomento in più di 100 Comuni. Purtroppo nessun Presidente del Consiglio, da Renzi a Gentiloni, ci ha risposto – continua – abbiamo consegnato il tutto anche al premier attuale, per il momento non abbiamo un riscontro nemmeno da lui”.

Nel nostro Paese, quindi, la situazione attuale sembra essere di stallo. “L’impressione è che, al contrario di quanto avvenuto negli anni scorsi con le armi chimiche e batteriologiche – spiega Brando Benifei, europarlamentare del Partito Democratico e membro della Sottocommissione per la sicurezza e la difesa – ci sia un livello minore di attenzione e comprensione, anche da parte dell’opinione pubblica, sul pericolo derivante dalla semplice esistenza, non soltanto dall’uso, sul proprio territorio di armi nucleari”.  D’altro canto colmare il vuoto giuridico per realizzare la proibizione e l’eliminazione delle armi nucleari è una battaglia che va al di là dei confini nazionali. E si sta cercando di combatterla anche in ambito europeo.

“Il Parlamento europeo sta per approvare una richiesta ufficiale, di cui sono stato relatore, perché nel bilancio della Ue i fondi economici a sostegno del disarmo e della non proliferazione delle armi nucleari nel 2019 passino da 20 a 24 milioni – annuncia Benifei – la palla sulle tematiche legate alla Difesa è in mano agli Stati membri, ma si vuole dare un segnale perché questi soldi servano a sensibilizzare i governi e finanziare i progetti della società civile per sviluppare un vero dibattito nell’opinione pubblica”. La strada verso l’abolizione delle armi nucleari, quindi, è ancora lunga. La direzione, però, è già segnata. Non a caso ci sono più di 100 Paesi nel mondo, con l’Austria in prima fila, dove le bombe non hanno diritto di cittadinanza.

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