Economia

L’industria, investire sul territorio come vantaggio competitivo

Globalizzazione, crisi economica e rivoluzione digitali. Sfide difficili per le imprese. Investire sul territorio può essere la soluzione. Come?

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Quando soffia il vento del cambiamento alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento. Anche la saggezza di un antico proverbio cinese può servire alle imprese italiane per capire come abbracciare i nuovi mercati invece di rifugiarsi in qualche forme di chiusura o protezionismo. Almeno questa è l’opinione di Marco Magnani, economista, scrittore e docente di Monetary e Financial Economy alla Facoltà di Scienze Politiche della Luiss. Che nel libro “Terra e buoi dei paesi tuoi” analizza il contesto economico attuale e individua tre principali sfide per imprese: la globalizzazione, la crisi economica e la rivoluzione digitale. Ad esse, “paragonabili – afferma Magnani – ad vero e proprio tsunami”, l’economista, che ha presentato la sua ultima pubblicazione presso il Presidio di Monza di Assolombarda, oppone una possibile soluzione: investire sul territorio come vantaggio competitivo per l’impresa. “Non si tratta di fare filantropia, mecenatismo o, peggio ancora, dare soldi a pioggia sul territorio – spiega Magnani – piuttosto è necessario una sorta di egoismo lungimirante o di altruismo interessato, in base al quale l’impresa investe sul territorio per crescere insieme in modo virtuoso e sostenibile”. Un concetto ampio, i cui diversi fattori costituiscono i capitoli del libro “Terra e buoi dei paesi tuoi”. “In questa accezione il territorio in cui investire è molte cose contemporaneamente – spiega Magnani – sono i dipendenti, la formazione, la ricerca universitaria, l’ambiente, la filiera, il patrimonio artistico-culturale, i giovani, lo sport dilettantistico”.

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Tutti elementi che devono conciliarsi con un contesto adeguato. “Il mondo sta cambiando e anche il territorio deve cambiare pelle – afferma il docente della Luiss – deve offrire maggiori opportunità, attrarre capitale umano ed eccellenze, stimolare la collaborazione, valorizzare tradizioni ma anche recepire nuove tecnologie”.

Condizione fondamentale per far crescere le imprese, quindi, è rendere il territorio attrattivo, sia verso il mercato interno che verso quello esterno. “Bisogna ragionare a mercati aperti – sostiene Antonio Calabrò, vicepresidente di Assolombarda con delega alla legalità e alla responsabilità sociale e d’impresa – il protezionismo, la svalutazione competitiva, il ritorno alla liretta sono degli errori gravissimi. L’industria italiana è cresciuta – continua – quando è stata capace di pensare a livello locale e contemporaneamente internazionale”. Ecco perché gli scenari tratteggiati dalla Brexit e dai primi provvedimenti del presidente degli Stati Uniti d’Ametica, Donald Trump, sembrano andare nella direzione sbagliata. “La Brexit sarà un disastro per gli inglesi – afferma Calabrò – sarà, invece, un vantaggio per le nostre imprese se saranno capaci di stare sui mercati internazionali. La grande Milano – continua – deve essere punto di riferimento per le multinazionali e le agenzie come quella del farmaco”. All’orizzonte c’è, prima di tutto, un cambio culturale di prospettiva. “Oggi la sfida per le imprese è rilegittimare il capitalismo – afferma il vicepresidente di Assolombarda – la vera innovazione è pubblica, nel senso della ricaduta che deve avere”.

Il libro “Terra e buoi dei paesi tuoi” presenta molti casi aziendali, best practice raccolte nella provincia italiana. Che dimostrano come investire sul territorio e sui suoi diversi fattori possa essere una soluzione per portare al successo un brand. Il discorso vale per grandi aziende italiane, come la Pirelli e la Luxottica, ma soprattutto per le tanti piccole e medie imprese, che costituiscono circa il 90 per cento del tessuto imprenditoriale italiano. E, su questo fronte, gli esempi virtuosi abbondano. Da Loro Piana alla Zuegg, da Loccioni all’Erbolario fino allo Strega. Senza dimenticare la Dallara che, dal cuore dell’Appenino, è diventata un’eccellenza nel mondo delle auto da competizione. Anche grazie alla capacità di puntare sulla scuola e formazione. “La Dallara ha creato il polo scolastico di Fornovo e attrae sul territorio studenti interessati alla meccanica da corsa – spiega Massimo Giovanardi, vicepresidente Comitato Piccola Industria con delega alla formazione, scuola e trasferimento tecnologico e del Gruppo Meccatronici – in questo modo offre un’opportunità concreta di sviluppo. Le aziende devono unirsi per scambiarsi idee e competenze e aprirsi ai giovani con l’alternanza scuola-lavoro, un’iniziativa legata all’innovazione e alla cosiddetta industria 4.0”.

L’ambito di applicazione principale della virtuosa relazione tra imprese e territorio sono i distretti industriali. “Hanno fatto la fortuna dell’Italia nel secondo Dopoguerra – afferma Magnani – oggi, però, non tutti riescono ad esprimere le loro potenzialità. Molti devono essere rivisti proprio seguendo il concetto dell’attrattività – continua – in questo ci deve essere anche una responsabilità della politica”. E tra i distretti industriali italiani più sviluppati c’è sicuramente la Brianza. Basti pensare al settore del mobile, frutto di una tradizione ultrasecolare, in grado di arrivare sui mercati internazionali. “La Brianza si deve adeguare alle novità, ma senza perdere le proprie radici – afferma Ambra Redaelli, vicepresidente del Comitato Piccola Industria con delega  con delega al credito, fisco e finanza – il nostro territorio sta rinascendo e saprà cogliere le sfide per avere un futuro interessante, anche se diverso dal suo passato”. Una combinazione tra passato, presente e futuro da cui dipenderà gran parte dello sviluppo economico. E allora le imprese, brianzole e non, faranno bene a tenere in mente anche una celebre frase di Indro Montanelli: “Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente”.

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