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Calcio, dalla serie A sfumata al lavoro in ferramenta. La storia di Stefano Mondini.

Ha giocato nell'Italia Under 18 e 19. Ha vestito la maglia del Mantova in serie B. Il monzese Stefano Mondini, però, a 24 anni ha lasciato il calcio professionistico. Oggi, a 30, lavora in ferramenta.

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E’ cresciuto nel Milan sin dalla tenera età, ha giocato nell’Italia Under 18 e 19, ha calcato i campi della serie B. Il suo ruolo era centrocampista centrale. Poi a 24 anni ha dovuto scegliere: continuare a fare il calciatore professionista o cambiare vita? Stefano Mondini, 30enne di Monza, ha preferito la seconda strada. E, così, anche per motivi familiari, è diventato titolare insieme al padre del negozio di ferramenta, MB Sicurezze. Al contrario di quello che succede a Gwyneth Paltrow nel film “Sliding doors”, non saprà mai come sarebbe andata la sua vita se avesse optato per l’ipotesi di lavorare rincorrendo un pallone su un campo di calcio. Compresa, chissà, la possibilità di arrivare a giocare in serie A. Dove sono ormai di casa anche Luca Antonelli e Ignazio Abate, suoi coetanei, amici e compagni di squadra ai tempi delle giovanili nel Milan. Ecco a voi la storia di un ragazzo come tanti. Che, però, grazie ai piedi buoni e alla capacità di dare del tu ad un pallone, ha coltivato per anni un sogno speciale. Quello comune a tanti bambini. Ma oggi, svanito, non ha grossi rimpianti. Continua a mondini-ferramenta-mbgiocare, quest’anno nel Bresso, in Promozione. E, in questa intervista ad MBNews, si dice contento del suo lavoro nella ferramenta a Monza. Dai cori degli stadi alla richieste dei clienti, a volte, il passo è breve. Proprio la differenza tra quello che sarebbe potuto essere e la realtà.

Primavera del Milan, Italia Under 18 e 19, 13 presenze in serie B con il Mantova. Questi i momenti salienti della tua breve e promettente carriera. Ma come è nata la tua passione per il calcio?  Sin da piccolo ho voluto praticare questo sport. A 5 anni e mezzo ero nel Ges Monza. Lì alcuni osservatori del Milan mi hanno visto e portato nella società rossonera. Con il sostegno della mia famiglia, a cui sono molto grato, ho fatto tutto il percorso nelle giovanili fino alla Primavera. A 18 anni ero in serie B con il Mantova. Poi ho fatto un po’ su e giù tra la serie cadetta e la vecchia C1. Ho vestito i colori della Pistoiese, della Sangiovannese e del Cesena. Infine nel 2010 sono approdato al Mezzocorona in C2 ed ho giocato la mia ultima stagione da calciatore professionista.

Cosa ha portato un 24enne calciatore di belle speranze ad abbandonare il calcio professionistico?  Ci sono state una serie di motivazioni. Nel 2010 il Mantova, a causa dei debiti, fallisce e deve ripartire dalla serie D. L’anno dopo anche il Mezzocorona, la mia nuova squadra, che aveva disputato il campionato di Seconda Divisione Lega Pro, finisce in serie D. A quel punto io mi trovo spiazzato. Ricevo un’offerta dal Cosenza. Sarei rimasto in Lega Pro, ma, dopo aver fatto le mie valutazioni, ho rifiutato. Non ci stavo con le spese. E, poi, nel frattempo mio fratello, per un grave infortunio, non poteva più aiutare mio padre a portare avanti il negozio di ferramenta. Così ho deciso di cambiare vita. Dopo il Mezzocorona, la tua parabola di calciatore quale percorso ha seguito? Ho giocato nel campionato di Eccellenza con diverse squadre, il Desio, l’Ardor Lazzate e la Cisanese. Quest’anno sto giocando in Promozione nel Bresso, siamo primi in classifica e puntiamo a salire di categoria. Quando eri un calciatore professionista, il tuo procuratore era Oscar Damiani, un nome noto, che ha curato gli interessi, tra gli altri, di Billy Costacurta, Beppe Signori e Andriy Schevchenko.

Quanto ha inciso, secondo te, sul mancato sviluppo IMG_0296 (Copia)della tua carriera? Direi al massimo per il 50 per cento. Probabilmente Damiani mi ha un po’ trascurato, ma non è stato sicuramente lui la causa della fine della mia carriera. E’ sempre il giocatore che, in fin dei conti, deve dimostrare il suo valore.

Oggi nel calcio italiano uno degli argomenti principali è, anche nell’ottica della Nazionale, la necessità di valorizzare talenti nostrani. Adesso i giovani calciatori italiani hanno più o meno spazio di quando tu avevi 20 anni?  Sicuramente hanno più opportunità di quante, potenzialmente, ne avessi io qualche anno fa. Basti pensare che, rispetto ad allora, sono cambiate le regole. In serie A le società sono obbligate ad avere in rosa 4 giovani del proprio vivaio e 4 del vivaio nazionale. In serie B, inoltre, si possono avere massimo 18 giocatori over 21 in rosa, mentre gli Under sono illimitati.

Oggi hai 30 anni e non coltivi più l’ambizione di giocare in seria A. Ma, con sincerità, se potessi tornare indietro, faresti scelte diverse? E’ inutile negare che c’è qualche rimpianto per quello che non è stato. Se avessi continuato come calciatore professionista, avrei avuto molti vantaggi. Ma oggi non passo certo la mia giornata a pensarci. Sono contento così, mi piace il lavoro e la vita che faccio. Sono diventato imprenditore e la mia attività procede bene. Il prossimo 15 luglio, tra l’altro, mi sposo. Poi la mia passione per il calcio è ancora forte. Tifo per il Milan ed è l’unico sport che ho voglia di praticare. A parte, naturalmente, quello di frequentare i buoni ristoranti.

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