Ambiente

Seveso, 40 anni dalla bonifica: dopo la diossina, la consapevolezza

Il convegno ha concluso la serie di iniziative dedicate a 40 anni del disastro Icmesa del 1976. Dalla bonifica sevesina alla riforestazione del Bosco delle Querce.

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Dalla bonifica post incidente Icmesa alle proposte più recenti dello scenario nazionale. Il convegno di sabato 12 novembre, organizzato dall’agenzia InnovA21 insieme al Comune di Seveso, a Legambiente Lombardia e alla Fondazione Lombardia per l’Ambiente, si è tenuto non a caso nel Bosco delle Querce, l’ex area contaminata simbolo della rinascita sevesina. Tra i presenti, soprattutto rappresentati delle istituzioni (il sindaco di Barlassina, Piermario Galli, e assessori di Lentate sul Seveso e Desio) e addetti ai lavori: da Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia, al geologo Gianni Del Pero, che ha seguito la questione carotaggi per conto dei comuni interessati dalla tratta B2 di autostrada Pedemontana. Insieme a loro anche un gruppetto di attivisti di No Pedemontana, da sempre sensibili all’argomento diossina. L’incontro, dopo una serie di eventi anche internazionali, ha concluso l’anno di iniziative proposte dall’agenzia InnovA21 in merito al quarantennale del disastro Icmesa.

«Abbiamo voluto ricordare la crescita di una consapevolezza – ha dichiarato il sindaco di Seveso, Paolo Butti -. È fondamentale capire cosa hanno subito le persone che qui avevano la propria casa, anche se qualcuno, oggi, preferirebbe dimenticare. Proprio per questo in luglio abbiamo intitolato “Contaminazioni” la due giorni dedicata all’anniversario del 10 luglio 1976: vorrei che la città venisse contaminata dal bisogno di ambiente». Il tema della bonifica, d’altra parte, si conferma più che mai attuale, dato che l’esito dei carotaggi nei territori interessati dal tracciato B2 di Pedemontana presentano tracce di diossina superiori al limite. Non è ancora chiaro, però, come si comporterà in proposito Pedemontana. In ogni caso, quella di Butti è una promessa: «Lavoreremo – afferma – perché l’impatto sul territorio sia il minore possibile, senza rischi per la salute». E aggiunge: «Il progetto di legge dell’assessore Terzi sulla riorganizzazione delle aree protette in Lombardia potrebbe portare a riconsiderare la realtà del Bosco delle Querce. Ma questo parco è un simbolo per tutti, ha una storia particolare che va salvaguardata: non deve diventare un parco come gli altri».

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Che il Bosco delle Querce sia unico lo sostengono anche le testimonianze di chi, all’epoca, fu coinvolto nella ricostruzione ambientale in seguito all’incidente Icmesa. Alberto Piepoli ha raccontato come fu possibile realizzare la bonifica, dalla divisione in aree e dalla defoliazione, fino alla scarificazione del terreno per strati e alla sua sostituzione. Si parla di circa 300mila metri cubi di terreno contaminato, che vennero sostituiti con terreni considerati idonei, privi di diossina e lontani almeno 20 km da Seveso. Il costo fu altissimo: circa 66 miliardi totali, per quella che fu un’emergenza mai affrontata prima. Paolo Lassini, docente universitario, ha rievocato invece il clima esaltante, di intensa attività, che portò alla progettazione e alla creazione del Bosco delle Querce di Seveso e Meda. «Qualcuno, dopo la bonifica, avrebbe voluto costruire – ricorda -. Fu il senatore Noè (a capo dell’Ufficio speciale Seveso, ndr) a volere il parco. Riuscimmo a mettere insieme un gruppo che dialogava in tempo reale con le istituzioni: nessuno voleva occuparsi della diossina, ma c’erano diversi soldi a disposizione dal fondo Givaudan, e riuscimmo a muoverci in modo molto libero». Antonio Mambriani, di Ersaf, ha spiegato come è stato possibile riportare la vegetazione e la fauna in un luogo che era diventato un deserto, e dove per la prima volta si sperimentarono progetti all’avanguardia per l’epoca, come una riforestazione “naturale” o la manutenzione differenziata dei prati, a seconda che fossero nella zona frequentata dall’uomo o dedicati all’area naturalistica.


Nicola di Nuzzo, che all’epoca dell’incidente Icmesa si era appena diplomato e che ora lavora in Regione Lombardia, nella Direzione Generale Ambiente, Energia e Sviluppo Sostenibile, ha approfondito il quadro regionale di riferimento sulle bonifiche, mentre Franco Olivieri, di Arpa, ha collegato l’eredità dell’esperienza sevesina alla situazione attuale in Lombardia e, in particolare, nella provincia di Monza e della Brianza. Hanno chiuso il convegno due relatori di Legambiente Lombardia: Sergio Cannavò, responsabile Ambiente e Legalità e Centri di azione giuridica, che ha tenuto un intervento sul caso Tamoil di Cremona, e Andrea Minutolo, coordinatore dell’ufficio scientifico, che ha parlato del futuro delle bonifiche dei siti contaminati.

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