Assolta (dopo 400 anni) la Monaca di Monza: “Incapace di intendere e volere”

Lunedì sera al Manzoni è stato messo in scena il processo d’appello a Marianna de Leyva condannata nel 1608 per la sua tresca con Gian Paolo Osio
Assolta per incapacità di intendere e volere. Ha dovuto attendere oltre 400 anni, ma alla fine la Monaca di Monza, al secolo Marianna de Leyva y Marino, ha avuto giustizia. Lunedì sera il processo d’appello organizzato dall’Associazione Prospecuts, con la collaborazione dall’Associazione Carabinieri sezione di Monza sul palco del teatro Manzoni, ha infatti ribaltato la sentenza di condanna emessa nel 1608 dal Tribunale di Milano.
Lo spettacolo, a metà fra la ricostruzione storica e il vero processo penale, è stato animato da sette protagonisti d’eccezione: il magistrato Stefano Dambruoso, questore anziano alla Camera dei Deputati già titolare dell’inchiesta sul sequestro Abu Omar, nei panni di presidente della Corte, l’ex sostituto procuratore di Monza e oggi ispettore al ministero di Giustizia, Antonio Tanga, come pubblica accusa, l’avvocato matrimonialista più famoso d’Italia, Maria Bernardini De Pace, come difesa, e l’ex parlamentare europeo di Forza Italia, Licia Ronzulli, nel ruolo di Marianna de Leyva.
L’accusa nei confronti di Marianna era di concorso col suo amante Gian Paolo Osio in omicidio di tre suore testimoni della loro relazione proibita. Testimoni dei fatti: Lucia Mondella, interpretata dalla giornalista Francesca Leto, Renzo, interpretato dal comico Gabrielle Cirilli, e don Abbondio, parte affidata al presentatore Cesare Cadeo. La difesa, però, al termine di un dibattimento carico di tensione, è riuscita a smontare pezzo per pezzo tutti i capi d’imputazione. Decisivo per ottenere un verdetto d’innocenza è stata la ricostruzione della vita e della personalità di Marianna fin da bambina. Vittima di un padre – padrone e poi di un amante diabolico, la giovane, ha sostenuto il suo legale, non ha mai avuto la possibilità di scegliere. Succube, soggiogata, alienata rispetto alla realtà e costretta a farsi monaca quando era ancora bambina, il profilo psicologico di Marianna, confermato anche da alcuni esperti interpellati dalla difesa, era quello di persona senza identità.
Incapace di intende e di volere, secondo la corte, ma secondo anche la giuria popolare (interpretata dal pubblico) che ha confermato in pieno la sentenza di assoluzione invocata anche dal pm. Alla fine del processo, l’intero ricavato della serata è stato devoluto in beneficienza a favore della Fondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma.