Economia

Non è un paese per lavoratori. Tre storie di ordinaria crisi economica

Nomi noti di aziende in crisi, che troppo spesso finiscono sulle pagine dei giornali per il motivo sbagliato. Perché se ne decreta il ridimensionamento, la chiusura, il fallimento.

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Tante le realtà brianzole che ieri mattina hanno attraversato le vie del centro di Monza con un vistoso corredo di bandiere e striscioni, reso ancora più colorato dagli ombrelli usati per proteggersi dalla pioggia battente. Hanno preso parte allo sciopero indetto da Cgil, Cisl e Uil per protestare contro una legge di stabilità che non sembra essere in grado di realizzare quella svolta politica ed economica necessaria all’Italia per uscire dalla recessione e tornare a crescere.

Soprattutto, però, hanno voluto attirare l’attenzione sulle difficili condizioni economiche in cui versano, ormai da tanti e tanti mesi. Nomi noti di aziende in crisi, che troppo spesso finiscono sulle pagine dei giornali per il motivo sbagliato. Perché se ne decreta il ridimensionamento, la chiusura, il fallimento.

La Star, ad Agrate Brianza dagli anni del boom economico del secondo dopoguerra, si sta svuotando. Oggi solo il 20% di una superficie di oltre 200mila metri quadrati risulta produttiva ed occupata. Negli ultimi tre anni i dipendenti sono diminuiti del 20%, da 446 a 336, e da alcuni giorni altri 40 lavoratori sono nuovamente in cassa integrazione. «Chiuderemo, se non verrà presto predisposto un piano industriale per il futuro», ha dichiarato senza mezzi termini il rappresentante RSU Ernesto Cappelletti.

Lo stesso destino di incertezza segna anche la Carrier di Villasanta, multinazionale americana leader nella produzione e commercializzazione di sistemi per la climatizzazione. «Sappiamo che continueremo a lavorare fino alla fine di dicembre, non altro. Se non dovessero dirci nulla entro la fine di novembre ci fermeremo tutti, ci faremo sentire in provincia e in regione – ha spiegato Ornella Fedele, RSU dell’azienda – Siamo in cassa integrazione da quattro anni ormai. Vent’anni fa lavoravamo lì in 1.200, ora siamo rimasti in 220».

Non sono solo le grandi aziende ad avvertire il morso della crisi. Anche, e a maggior ragione, piccole realtà e onlus, come la Biblioteca italiana per i ciechi “Regina Margherita”. «Lavoriamo di più, molto di più, ma il nostro stipendio rimane sempre uguale. Continuano a tagliarci i fondi, ma in questo caso ci vanno di mezzo anche delle persone che davvero necessitano del nostro supporto, visto che forniamo libri e materiale didattico a non vedenti: siamo una delle realtà più importanti a livello nazionale», ha raccontato Emanuela Palmeri.

Tre casi emblematici, tre, tra tutti quelli incontrati ieri mattina. Così tanti da portarci a considerare ormai normali queste storie di ordinaria crisi economica.

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