
Chang, nome di fantasia, impugna il phon come fosse una racchetta da ping-pong (non è una filastrocca…). Dalla parte bombata, poi, e chissà come fa. Forse, quelli made in china, in quel punto lì, non scottano.
Chang, nome di fantasia, impugna il phon come fosse una racchetta da ping-pong (non è una filastrocca…). Dalla parte bombata, poi, e chissà come fa. Forse, quelli made in china, in quel punto lì, non scottano.
Provare per credere, diceva qualcuno. E io provo. No, non a prendere il phon da quella parte… semplicemente a tagliarci i capelli, nel primo – e per ora unico – parrucchiere dagli occhi a mandorla aperto a Desio. Che da qualche mese fa concorrenza, a che prezzi!, ai colleghi italiani e ai tre/quattro gestiti da persone islamiche spuntati negli ultimi anni. Un fenomeno che a Milano già spopola, tra non pochi mugugni e polemiche, e sta prendendo piede anche in Brianza.
Siamo in via Matteotti, in pieno centro storico, laddove uno dei tanti negozi ha alzato bandiera bianca. L’insegna, e la vetrina, sfavillano di tagli unisex – uomodonnabambino – a cifre che viaggiano intorno alla metà, rispetto a quelle altrui. Entro. «Talliare capelli?», fa Chang, senza se, senza ma, e senza salutare. «Ciao, sì grazie», e m’accomodo. Il negozio è piccolo e arredato in maniera moderna e spartana. Sulle pareti modelle italiane da una parte e cinesi dall’altra, con varie acconciature. Tre grandi ciocche di capelli appese qua e là, una blu, mi fa pensare che facciano anche le extension, o come diavolo si chiamano.
In mia compagnia, si fa per dire, ci sono anche Ken (è sempre fantasia) che spadella tinta sui ricci di una ragazza; e Zu, che alla stessa ragazza sistema le unghie. Accanto, una signora di mezza età, già sulla poltrona, che strabuzza gli occhi un po’ incredula verso la frenetica precisione di Zu. I silenzi sono rotti di tanto in tanto dalle chiacchiere, rigorosamente in cinese, dei nostri tre. Parlottano e ridacchiano, mentre “noi” italiani pensiamo, muti. Ogni tanto, squilla un «e la flangia?».
Ma è il mio turno e Zu mi indica il retrobottega, per lo shampoo. Davanti, un kit completo per rendere le unghie di mille colori, farle, disfarle, costruirle e ricostruirle. Sul tavolino, uno Zanichelli tascabile, italo-cinese, non molto sfogliato. Dietro, semi nascosto, uno stendino con dei panni ad asciugare… “Solo prodotti italiani” assicurava la vetrina (per vincere la diffidenza, non certo immotivata, verso intigoli esotici che troppo spesso fanno danni dalle nostre parti…): quindi, vado sul sicuro. Anzi, a pensarci bene, lo assicuravano pure i volantini, anche se nell’indirizzo c’è un Desio che figura in provincia di…Milano.
Zu mi lascia e mi affida a Ken, che avrà 20-25 anni, a stare larghi. Mi mette una “vestaglia” con disegnati sopra gli egizi, e chissà perchè. I termini tecnici li conosce bene: <come talliare?>. Ci si intende e si parte, mentre Chang smanetta col phon sulla signora dagli occhi sbarrati. I colpi di Ken sono precisi e puntuali. Si procede, spediti, in un silenzio inconsueto, almeno per chi è abituato a frequentare i parrucchieri italiani, dove chiacchiericcio e gossip la fanno da padrone. È come ci fosse una barriera. Linguistica, ma forse anche culturale. Solo diffidenza reciproca? O professionalità? Nessuno rompe il ghiaccio, fra i presenti.
Un quarto d’ora e il gioco è fatto. Dallo specchio sbircio la ragazza che paga e se ne va. Non vedo la ricevuta, ma forse non me ne sono accorto. Ringrazio, mi alzo e mi infilo sciarpa e cappotto. «Allivo», fa Chang, che capeggia. «Quant’è?». «Dieci». Pago e mi dà la tesserina, timbrandomi il primo punto: con 14 vinco uno shampoo più piega in omaggio. Poi, riprende in mano i suoi ferri del mestiere. Come se nulla fosse. Non un ciao, non un grazie, non una ricevuta. Solo dopo il mio, di ciao, ecco la replica. Vabbè, è andata.
E tu, sei mai andato/a in un parrucchiere “etnico”? Ci andresti? Sono una risorsa, una opportunità anti-crisi, un “pericolo” o cos’altro? Dicci la tua!