Al Teatro Manzoni di Monza una «celeste» Aida. Intervista a Riccardo Migliara

Un’Aida in miniatura? Niente di tutto questo. Nella rappresentazione messa in scena venerdì 22 gennaio al Teatro Manzoni di Monza dal Teatro dell’Opera di Milano, del grand opera verdiano che debuttò trionfalmente al Cairo nel 1871 non manca proprio niente. Non manca neppure il carattere «faraonico» di uno dei titoli più fastosi della storia dell’opera. Ci sono perfino i templi dorati, le piramidi e le colossali creature mitologiche del pantheon egizio care a una tradizione che affonda le sue radici negli allestimenti tradizionali di Franco Zeffirelli e dell’Arena di Verona.


Un’Aida in miniatura? Niente di tutto questo. Nella rappresentazione messa in scena venerdì 22 gennaio al Teatro Manzoni di Monza dal Teatro dell’Opera di Milano, del grand opera verdiano che debuttò trionfalmente al Cairo nel 1871 non manca proprio niente. Non manca neppure il carattere «faraonico» di uno dei titoli più fastosi della storia dell’opera. Ci sono perfino i templi dorati, le piramidi e le colossali creature mitologiche del pantheon egizio care a una tradizione che affonda le sue radici negli allestimenti tradizionali di Franco Zeffirelli e dell’Arena di Verona.

aidamanzoni2Eppure, l’Aida del Teatro dell’Opera di Milano è un’Aida «low cost»: gli spettatori si sono seduti in platea con trenta euro (22 euro in galleria). Un piccolo miracolo che rende l’opera accessibile a un pubblico da sempre escluso dai templi dorati della lirica: operai e impiegati, pensionati e studenti. E può rendere il melodramma di nuovo un genere culturale «popolare».

Dove mancano i soldi e i mezzi, c’è però la forza delle idee e della genialità. Tutto questo c’è in abbondanza nell’Aida «multimediale» del regista Riccardo Migliara. In questo originale allestimento i cantanti e il cast grazie all’uso delle telecamere si trovano al centro di una proiezione video. Un’operazione di «project visual».

Dove mancano i mezzi, è la potenza e l’evocatività delle immagini a garantire allo spettatore una percezione totale del dramma lirico. E così la rappresentazione rimane assolutamente fedele all’immaginario presente in Aida. Una scelta corretta, soprattutto se si considera che una buona parte del pubblico presente in sala erano giovani che accostavano per la prima volta il capolavoro verdiano.

Pulita e ordinata, la regia ha il dono della semplicità e riesce ad accompagnare lo spettatore – anche il meno preparato all’ascolto operistico – alla piena e profonda comprensione dell’opera.

aidamanzoniL’allestimento è convincente e assolutamente di buon livello anche sul piano strettamente musicale: l’orchestra, nonostante l’organico ridotto, ha reso un buon servizio alla straordinaria musica che Verdi infuse in Aida. Merito certo anche dell’accurato lavoro di concertazione svolto dal direttore Roberto Ardigò. Buono il cast vocale, selezionato con cura dal regista Riccardo Migliara. Particolarmente valide le parti femminili (Inge Heiml, Amneris e Paola Staffici, Aida). Ennio Capece ha saputo affrontare in modo disinvoltura il ruolo di Radames, tra i più impervi del melodramma.

{xtypo_rounded2}Riccardo Migliara: «L’opera deve tornare un genere popolare»

Maestro Migliara, quando è nata l’esperienza del Teatro dell’Opera di Milano?
«Quattro anni fa, quasi per caso, al Castello Sforzesco di Milano. Mettemmo in scena, per conto del Comune, un allestimento dell’Elisir d’Amore di Donizetti. C’erano mille posti, e andarono tutti esauriti. E altri 400 spettatori rimasero purtroppo fuori dai cancelli. Proprio lì capimmo che c’era tra il pubblico una grande richiesta di opera a prezzi popolari».

Come fate a proporre un allestimento a un prezzo così contenuto?
«Va detto che i nostri margini sono assai ristretti e per esempio la produzione di Aida, particolarmente onerosa, è in perdita. Tuttavia, un buon sistema è quello di non scendere a compromessi con la qualità: il cast vocale, per esempio, è stato selezionato solo dopo tre audizioni e con la certezza che i cantanti fossero in grado di affrontare i non facili ruoli richiesti da un’opera come Aida. Stesso criterio anche per i professori d’orchestra».

Nella sua carriera di regista che spazio ha l’opera?
«Uno spazio totale. La lirica per me è una passione totalizzante. Ho la fortuna di condividere questo amore con i miei collaboratori e spero che tutto questo si trasmetta nei nostri allestimenti».

Può spiegarci in poche parole la filosofia del Teatro dell’Opera di Milano?
«Il melodramma è sempre stato un genere culturale popolare e diffuso tra tutti i ceti sociali. Se vogliamo che l’opera torni popolare tra il grande pubblico, dobbiamo riuscire a offrire un allestimento a prezzi contenuti. Questo un tempo avveniva. Accanto alle grandi produzioni del Teatro alla Scala, c’erano allestimenti più semplici ma non per questo privi di interesse e di valore artistico. A parole, è facile».{/xtypo_rounded2}

Cartellone – scarica pdf
Foto di Marco Brioschi

 

 

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