Cultura

Premiata ditta Aletti, la storia sconosciuta degli organari monzesi

A cavallo fra Ottocento e Novecento a Monza crebbero diversi laboratori artigiani e venne inventato il primo organo elettronico italiano

serafino-corno

Cappellifici, tessiture e qualche mobiliere. Se si pensa alla Monza di fine Ottocento, se si pensa al suo tessuto industriale ed economico, sono queste le attività che saltano subito in mente. Cappellifici, tessiture e qualche mobiliere. Eppure la città della regina Teodolinda a cavallo dei due secoli è stata anche una piazza apprezzata a livello internazionale per la qualità dei sui organari, vale a dire le botteghe di artigiani che si occupavano di costruire e restaurare organi. In città c’erano una mezza dozzina di laboratori e fra questi quello dei fratelli Aletti, famiglia di origini varesine trasferitasi a Monza pochi anni prima, era uno dei più rinomati.

La prima sede fu aperta in via XX Settembre, trasferita poco tempo dopo in via Solferino al civico uno. I loro servizi erano richiesti in tutto il Nord Italia, ma anche all’estero: in Svizzera, per esempio, ma sopratutto in Sud America. La qualità del loro lavoro scivola tuttavia in secondo piano di fronte a quella che fu una vera e propria induzione imprenditoriale. Enrico Aletti, nipote del fondatore, può essere considerato come una specie di visionario, un uomo che prima di altri ebbe l’intuizione di trasformare la produzione di organi da artigianale in industriale.

Per questo, nel 1939, fabbricò il primo prototipo di organo elettronico, vale a dire privo di canne, e pochi mesi dopo depositò il brevetto. La sua idea, tuttavia, arrivò però nel momento sbagliato, quando oramai la Seconda guerra mondiale era alle porte. La storia della Premiata ditta Aletti specializzata nella costruzioni di organi da chiesa e del suo ultimo presidente, Enrico Aletti, è stata raccontata in un libro da Serafino Corno, 51 anni, residente a Usmate Velate, e appassionato di elettronica.

Lui, in un certo senso, è il custode di questa storia raccontata per sommi capi sul suo sito internet www.serafinocrono.it. Il padre di Serafino fu infatti l’ultimo dipendente della Aletti, che chiuse i battenti subito dopo la guerra dopo circa 100 anni gloriosa attività, ma soprattutto negli anni Settanta, quando aveva solo 14 anni, Enrico Aletti gli regalò il prototipo di quell’organo elettronico.

Oggi le botteghe di organari sono rare, ma tutti si ricordano della storia della Aletti e di quell’intuizione che anticipò di anni una tendenza in atto da tempo. Serafino Corno custodisce gelosamente quel prototipo e l’ha curato e mantenuto per tutti questi anni. “Enrico Aletti fu sfortunato – commenta Serafino Corno -. La sua storia è poco nota, ma il peso che ebbe sul mondo imprenditoriale locale fu elevato. Un organo senza canne è più facile da mantenere, da trasportare e da montare”.

Artigiani organari non ci improvvisava e non ci si improvvisa. Servivano conoscenze nel settore della falegnameria, ma bisognava anche saperci fare col metallo per le canne e avere solidi rudimenti di ebanisteria e meccanica per far funzionare la testiera e tutto il resto. “Enrico Aletti fu vice presidente dell’ente che anticipò la Mia, la mostra internazionale dell’arredamento – conclude Corno -. Fin dall’immediato dopo guerra capì l’importanza strategica di quel settore”.

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