Giovani brianzoli all’estero /4. Alessandro Truzzi, cameriere di sala

L'intervista di oggi spazia dall'Europa all'Australia. Abbiamo chiesto ad Alessandro Truzzi, che lavora nel campo della ristorazione, cosa l'ha spinto a partire.

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Alessandro Truzzi ha quasi 25 anni (li compirà alla fine del mese) e viene da Seveso. Poco dopo la maturità ha deciso di partire: ha vissuto per tre anni a Londra, e ora è da poco emigrato dall’altra parte del mondo, in Australia.

Raccontaci in breve chi sei e cosa fai. «Alle superiori ho frequentato l’istituto alberghiero Ipsar Gianni Brera di Affori (Milano), e ho ottenuto il diploma di Addetto ai servizi della ristorazione. Finiti i cinque anni mi sono iscritto all’Università, nel Corso di scienze e tecnologie della ristorazione. Dopo un anno e mezzo, però, ho deciso di abbandonare, gli studi non mi interessavano, volevo lavorare: ho intrapreso l’attività ristorativa prima in Italia, poi a Londra. Ora vivo a Sydney da ormai due mesi».

Perché hai deciso di partire? «Soprattutto per il piacere di girare il mondo e di vedere posti diversi. Volevo anche imparare bene l’inglese, che è essenziale nel mio campo lavorativo, ma anche per tante altre cose della vita quotidiana. Nel mio caso la decisione di partire non è stata influenzata dal fatto di non trovare lavoro, dato che in Italia lavoravo già da due anni con un contratto a tempo indeterminato, ma proprio dalla voglia di viaggiare».

Quali sono le motivazioni che ti hanno spinto a scegliere la città dove ti trovi ora? Da quanto tempo ci vivi? « Londra era la meta più vicina per imparare l’inglese, ma io mi sono trasferito anche grazie all’opportunità che una mia amica mi ha dato, facendomi avere una possibilità di iniziare a lavorare nell’hotel dove poi sono rimasto per 3 anni, il Langham Hotel of London. E a parte tutto questo, Londra è una città affascinante, chi non vorrebbe viverci?! A Sydney invece sono venuto spinto da un sogno che avevo sin da quando ero bambino. A Londra poi ho conosciuto tanti che ci erano stati: tutti me l’hanno consigliata per il mio percorso lavorativo, e per fare un’esperienza di vita».

Pensi che il mercato del lavoro estero offra più possibilità rispetto all’Italia? Perché? «Assolutamente sì. Il mercato estero della ristorazione offre guadagni maggiori che in Italia, non saprei però dire il perché. Sicuramente hanno un ruolo importante la crisi italiana, e le situazioni economiche diverse degli altri Paesi».

Secondo te, cosa manca in Italia? «Questa è la domanda del secolo. Abbiamo tutto ciò che ci serve ma non lo sappiamo valorizzare: nel campo ristorativo non siamo indietro a nessuno, l’ho sperimentato io stesso in termini di qualità di servizio e dei prodotti. Però, se oggi rimani in Italia e sei giovane, come fai a mettere da parte qualcosa? A Londra si guadagna il doppio, a Sydney anche il triplo, anche se non ti regala niente nessuno: devi saper fare il tuo lavoro. Detto questo, non si tratta solo di trovare altrove qualcosa che in Italia non c’è: si tratta della voglia di viaggiare, si conoscere nuovi mondi, di vivere esperienze diverse».

Avevi già vissuto all’estero in passato? «Prima di Londra no».

Pensi che tornerai in Italia prima o poi? «Tornerò di sicuro. Non si può cancellare il posto dove si è cresciuti, né dimenticare la famiglia e gli amici. La mia vita futura è in Italia»

Andare via non equivale forse a scappare? «Assolutamente no! Perché “scappare”?! Io ho intrapreso un percorso che mi ha fatto crescere moltissimo: a 20 vivevo da solo in una grande metropoli, come d’altra parte all’estero fa molta altra gente, anche più giovane. Dipendeva tutto da me, perché ho sempre voluto fare da solo, senza chiedere nulla ai miei genitori, nonostante mi avessero sempre detto di essere disponibili ad aiutarmi in qualsiasi modo. Ma sono fatto così: se mi metto in testa una cosa, la devo raggiungere con i miei mezzi. Poi, perché “di comodo”?! Andare via di casa non è comodo, anzi: non è mica come stare a casa con la mamma che cucina-lava-stira, o il papà che fa questo e quello. È un sacrificio, piuttosto, ma lo consiglio a tutti».

Sei iscritto all’Aire, l’Anagrafe Italiani Residenti Estero? «No. E da quel che so, gli iscritti sono meno della metà di chi effettivamente vive all’estero».

Raccontaci qualcosa di negativo e qualcosa di positivo che ti è successo nella tua “nuova” vita. «Di negativo non saprei davvero cosa raccontare, a parte forse la nostalgia delle prime due o tre settimane. Invece di positive moltissime: sono molto cresciuto personalmente e professionalmente, e ho potuto conoscere tradizioni e modi di vivere diversi da quelli a cui ero abituato».

Hai incontrato molti italiani e/o altri immigrati? Che rapporto si instaura tra voi stranieri e la gente del posto? «Ho conosciuto molta gente. Quelli con cui ho vissuto sono diventati la mia seconda famiglia: con loro ho instaurato un legame fortissimo, ho avuto la fortuna di incontrare persone splendide. Con la gente del posto c’è un ottimo rapporto: ad un certo punto diventi parte della comunità, e ti accettano come uno di loro».

Che consiglio diresti a chi vorrebbe partire (e magari non sa se farlo?) «Di smetterla di pensarci sopra e partire. Io ho ricevuto la proposta di lavoro per Londra un venerdì: il martedì successivo avevo già comprato un biglietto di sola andata, e mi sono trovato da un posto all’altro nel giro di due settimane. Se partite per la prima volta, però, scegliete una meta vicina: poi se vi trovate bene potete decidere di andare  dove volete, e sarete sicuramente più tranquilli. Provare non costa nulla».

by G.S.

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